8 SETTEMBRE – Natività della Beata Vergine Maria, festa.

 

 

A cura di Giovanna Busolini

(Sottolineature e commenti sono i miei. Immagini tratte dal WEB.)

clicca qui per scaricare il file pdf o mp3 x non-vedenti

 Prima Lettura

Partorirà colei che deve partorire.
Dal libro del profeta Michèa
Mi 5,1-4a
E tu, Betlemme di Èfrata,
così piccola per essere fra i villaggi di Giuda,
da te uscirà per me
colui che deve essere il dominatore in Israele;
le sue origini sono dall’antichità,
dai giorni più remoti.Perciò Dio li metterà in potere altrui
fino a quando partorirà colei che deve partorire;
e il resto dei tuoi fratelli ritornerà ai figli d’Israele.
Egli si leverà e pascerà con la forza del Signore,
con la maestà del nome del Signore, suo Dio.
Abiteranno sicuri, perché egli allora sarà grande
fino agli estremi confini della terra.
Egli stesso sarà la pace!
Salmo Responsoriale

Dal Salmo 12 (13)

R. Gioisco pienamente nel Signore.

Guarda, rispondimi, Signore, mio Dio,
conserva la luce ai miei occhi. R.

Io nella tua fedeltà ho confidato;
esulterà il mio cuore nella tua salvezza,
canterò al Signore, che mi ha beneficato. R.

Vangelo

Il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo.

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 1,1-16.18-23

Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo.

Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esrom, Esrom generò Aram, Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmon, Salmon generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, Iesse generò il re Davide.

Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Uria, Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abìa, Abìa generò Asaf, Asaf generò Giosafat, Giosafat generò Ioram, Ioram generò Ozìa, Ozìa generò Ioatàm, Ioatàm generò Acaz, Acaz generò Ezechìa, Ezechìa generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosìa, Giosìa generò Ieconìa e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia.

Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconìa generò Salatièl, Salatièl generò Zorobabele, Zorobabele generò Abiùd, Abiùd generò Eliachìm, Eliachìm generò Azor, Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, Eliùd generò Eleàzar, Eleàzar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo.

Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.

Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».

Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa Dio con noi.

Carissimi,

come tutti sappiamo bene, nei Vangeli canonici non si parla della Nascita di Maria e quindi vi trascrivo direttamente il capitolo valtortiano che ci racconta questo meraviglioso evento.

Maria Valtorta – L’Evangelo come mi è stato rivelato – 5.1-6  – ed. CEV.

26 agosto 1944.

[1]Vedo Anna uscire nell’orto-giardino. Si appoggia al brac­cio di una parente certo, perché le somiglia. È molto grossa e pare affaticata forse anche dall’afa, proprio simile a questa che accascia me.

Per quanto l’orto sia ombroso, pure l’aria vi è rovente, pe­sante. Un’aria da tagliarsi come una pasta molle e calda, tan­to è densa, sotto uno spietato cielo di un azzurro che la polve­re sospesa negli spazi fa lievemente fosco. Da molto deve es­servi siccità, perché la terra, dove non e irrigata, è letteral­mente ridotta a polvere finissima e quasi bianca. Di un bian­co lievemente tendente ad un rosa sporco, mentre è marrone rosso scuro, per esser bagnata, al piede delle piante o lungo le brevi aiuole dove crescono filari di ortaggi, e intorno ai ro­sai, ai gelsomini, ad altri fiori e fioretti, che sono specie sul davanti e lungo una bella pergola che taglia per metà il brolo sino al principio dei campi, ormai spogli di biade. Anche l’er­ba del prato, che segna la fine della proprietà, è arsiccia e ra­da. Solo ai margini di esso, là dove è una siepe di biancospino selvatico, già tutto tempestato dei rubini dei piccoli frutti, l’erba è più verde e folta, e là, in cerca di pastura e d’ombra, sono delle pecorelle con un piccolo mandriano.

Gioacchino è intorno ai filari e agli ulivi. Ha con lui due uomini che l’aiutano. Ma, per quanto anziano, è svelto e lavo­ra con gusto. Stanno aprendo delle piccole chiudende ai limiti di un campo, per dare acqua alle piante assetate; e l’acqua si fa strada gorgogliando fra l’erba e la terra arsa, e si stende in anelli, che per un momento paiono di un cristallo gialla­stro e poi sono solo anelli scuri di terra umida, intorno ai tral­ci e agli ulivi stracarichi.

Lentamente Anna, per la pergola ombrosa, sotto la quale api d’oro ronzano, ghiotte dello zucchero di acini biondi, va ver­so Gioacchino, che quando la vede le si affretta incontro.

«Fin qui sei giunta?».

«La casa è calda come un forno».

«E tu ne soffri ».

«L’unica sofferenza di questa mia ultima ora di gravida[2]. La sofferenza di tutti, uomini e bestie. Non ti accaldare trop­po, Gioacchino».

«L’acqua, sperata da tanto e che da tre giorni pareva pro­prio vicina, non è ancora venuta, e la campagna brucia. Buon per noi che vi è la sorgente vicina ed è così ricca d’acque. Ho aperto i canali. Poco sollievo per le piante, che hanno le foglie vizze e coperte di polvere. Ma quel tanto da tenerle in vita. Se piovesse!… ».

Gioacchino, con l’ansia di tutti gli agricolto­ri [3], scruta il cielo, mentre Anna, stanca, si sventola con un ven­taglio che pare fatto con una foglia secca di palma, intreccia­ta con fili multicolori che la tengono rigida.

La parente dice:

«Là, oltre il grande Hermon, sorgono nu­bi veloci. Vento di settentrione. Rinfrescherà e forse darà acqua».

«Son tre giorni che si leva e poi cade col sorger della luna. Farà così ancora».

Gioacchino è sconfortato.

«Torniamo in casa. Anche qui non si respira, e poi penso che sia bene tornare…» dice Anna, che sembra ancor più oli­vastra per un pallore che le è venuto sul viso.

«Soffri?».

«No. Ma sento quella gran pace che ho sentito nel Tempio quando mi fu fatta grazia, e che ho sentito ancora quando sep­pi d’esser madre. È come un’estasi. Un dolce sonno del corpo, mentre lo spirito giubila e si placa in una pace senza parago­ne umano. Ti ho amato, Gioacchino, e quando sono entrata nel­la tua casa e mi sono detta: “Sono sposa di un giusto”, ho avuto pace, e così tutte le volte che il tuo provvido amore ave­va cure per la tua Anna. Ma questa pace è diversa. Vedi, io credo che è una pace come quella che dovette invadere, come olio che si spande e molce, lo spirito di Giacobbe, nostro pa­dre, dopo il suo sogno d’angeli; e, meglio ancora, simile alla pace gioiosa dei Tobia dopo che Raffaele si manifestò loro[4].

 Se mi vi sprofondo, nel gustarla essa sempre più cresce. È come io salissi per gli spazi azzurri del cielo… e, non so perché, da quando io ho in me questa gioia pacifica, io ho un cantico in cuore, quello del vecchio Tobia [5]. Mi pare sia stato scritto per quest’ora… per questa gioia… per la terra d’Israele che la ri­ceve… per Gerusalemme peccatrice e ora perdonata… ma… – ma non ridete dei deliri di una madre… – ma quando dico: “Ringrazia il Signore per i tuoi beni e benedici il Dio dei se­coli, affinché riedifichi in te il suo Tabernacolo”, io penso che colui che riedificherà nella Gerusalemme il Tabernacolo del Dio vero sarà questo che sta per nascere…, e penso ancora che non più della Città santa, ma della mia creatura sia profetiz­zata la sorte quando il cantico dice: “Tu brillerai di luce splen­dida, tutti i popoli della terra a te si prostreranno, le nazioni verranno a te portando doni, adoreranno in te il Signore e terranno come santa la tua terra, perché dentro di te invoche­ranno il Grande Nome. Tu sarai felice nei tuoi figli, perché tutti saranno benedetti e si riuniranno presso il Signore. Bea­ti quelli che ti amano e gioiscono della tua pace!…” e la pri­ma a gioirne sono io, la sua madre beata…»

Anna si trascolora e si accende come cosa portata da luce lunare a gran fuoco e viceversa, nel dire queste parole.

Delle dolci lacrime le scorrono sulle gote, né se ne avvede, e sorride alla sua gioia. E intanto va verso casa fra lo sposo e la paren­te, che ascoltano e tacciono commossi.

Si affrettano perché le nubi, spinte da un vento alto, ga­loppano e crescono per il cielo, e la pianura si fa scura e abbri­vidisce per un avviso di temporale. Quando giungono alla so­glia di casa, un primo lampo livido solca il cielo e il rumore del primo tuono pare il rullare di un’enorme grancassa che si mesca all’arpeggio delle prime gocce sulle foglie arse.

Entrano tutti e Anna si ritira, mentre Gioacchino, raggiunto dai garzoni, parla, sulla porta, di questa tanto attesa acqua, che è benedizione per la terra sitibonda. Ma la gioia si muta in timore, perché viene un temporale violentissimo con fulmi­ni e nubi cariche di grandine.

«Se la nube rompe, l’uva e le ulive saranno frante come da mola. Miseri noi!».

Un’altra ansia ha poi Gioacchino, per la sposa a cui è giunta l’ora di dare alla luce il figlio.

La parente lo rassicura che Anna non soffre affatto. Ma egli è in orgasmo, e ogni volta che la parente o altre donne, fra cui la mamma di Alfeo, escono dalla stanza di Anna per poi tornarvi con acqua calda e bacili e lini asciugati alla fiamma, che splende ilare sul focolare centrale in un’ampia cucina, va e chiede, e non si placa per le loro rassicurazioni. Anche l’assenza di gridi da parte di Anna lo preoccupa. Dice: «Io sono uomo e non ho mai visto partorire. Ma mi ricordo d’aver sentito dire che l’assenza di doglie è fatale…».

Viene la sera, anticipata dalla furia temporalesca che è violentissima. Acqua torrenziale, vento, fulmini, vi è di tutto, meno la grandine che è andata ad abbattersi altrove.

Uno dei garzoni nota questa violenza e dice:

«Sembra che Satana sia uscito coi suoi demoni dalla Geenna. Guarda che nubi nere! Senti che fiato di zolfo è nell’aria, e fischi e sibili e voci di lamento e maledizione. Se è lui, è furente questa sera!».

L’altro garzone ride e dice:

«Gli sarà sfuggita una grande preda, oppure Michele lo ha percosso con nuova folgore di Dio, e lui ne ha corna e coda mozze e arse».

Passa di corsa una donna e grida:

«Gioacchino! Sta per nascere! E tutto fu svelto e felice!» e scompare con un’anforetta fra le mani.

Il temporale cade di colpo, dopo un ultimo fulmine così violento che sbatte contro le pareti i tre uomini; e sul davanti della casa, nel suolo dell’orto, resta a suo ricordo una buca ne­ra e fumante.

E mentre un vagito, che pare il lamento di una tortorina che per la prima volta non pigoli più ma tubi, viene da oltre la porta di Anna, un enorme arcobaleno[6] stende la sua fascia a semicerchio su tutta l’ampiezza del cielo. Sorge, o per lo meno pare sorgere, dalla cima dell’Hermon che, baciata da una lama di sole, pare di alabastro di un bianco rosa delicatissimo; si alza fino al più terso cielo di settembre e, valicando per spazi detersi da ogni impurità, sorvola le colline di Galilea e la piana che appare, fra due alberi di fico, che è a sud, e poi ancora un altro monte; e sembra posare la sua punta estre­ma all’estremo orizzonte, là dove un’aspra catena di monti chiu­de ogni altra veduta.

«Che cosa mai vista!».

«Guardate, guardate!».

«Pare che leghi in un cerchio tutta la terra di Israele, e già, ma guardate, già vi è una stella mentre ancor non è scom­parso il sole. Che stella! Brilla come un enorme diamante!…».

«E la luna, là, è tutta piena, mentre ancor mancano tre giorni al suo esserlo. Ma guardate come splende!».

Le donne sopraggiungono festanti con un batuffolino roseo fra candide tele.

È Maria, la Mamma!

Una Maria piccolina che potrebbe dormire fra il cerchio di braccia di un fanciullo, una Maria lunga al massimo quanto un braccio, una testolina di avorio tinto di rosa tenue e dalle labbruzze di carminio, che non piangono già più ma fanno l’istintivo atto di succhiare, così piccine che non si sa come faranno a prendere un capezzolo, un nasetto minuto fra due gotine tonde e, quando stuzzicandola le fanno aprire gli occhietti, due pezzettini di cielo, due puntini innocenti e azzurri che guardano, e non vedono, fra ciglia sottili e di un biondo quasi roseo, tanto è biondo. Anche i capellucci sulla testolina tonda hanno la velatura roseo-bionda di certi mieli che sono quasi bianchi. Per orecchie, due conchigliette rosee e trasparenti, perfet­te. E per manine… cosa sono quelle due cosine che annaspano per l’aria e poi vanno alla bocca? Chiuse come ora, due bocci di rosa borraccina che abbiano fenduto il verde dei sepali e sporgano la loro seta di rosa tenue; aperte come ora, due gioiellini d’avorio appena rosato, di alabastro appena rosato, con cinque pallide granate per unghiette.

Come faranno quelle manine ad asciugare tanto pianto? E i piedini? Dove sono? Per ora sono solo uno zampettio nascosto fra i lini.

Ma ecco che la parente si siede e la scopre… Oh! i piedini! Lunghi un quattro centimetri, hanno per pian­ta una conchiglia corallata, per dorso una conchiglia di neve venata d’azzurro, per ditine dei capolavori di scultura lillipuziana, anche loro coronate di piccole scaglie di granata pallida. Ma come si troveranno sandaletti, quando quei piedini di bambola faranno i primi passi, tanto piccini da poter stare su quei piedini? E come faranno quei piedini a fare tanto aspro cammino e sorreggere tanto dolore sotto una croce?

Ma ora questo non si sa, e si ride e sorride del suo annaspa­re e sgambettare, delle belle gambette tornite, delle cosce mi­nute che fanno fossette e braccialetti tanto sono grassottelle, della pancina, una coppa capovolta, del piccolo torace perfetto sotto la cui seta candida si vede il moto del respiro e certo si ode, se, come fa il padre felice ora, vi si appoggia la bocca ad un bacio, battere un cuoricino…

Un cuoricino che è il più bello che ha la terra nei secoli dei secoli, l’unico cuore immacolato di uomo. E la schiena? Ecco che la rivoltano, e si vede la falcatura delle reni e poi le spalle grassottelle e la nuca rosea così forte che, ecco, la testolina si alza sull’arco delle vertebre minute, e pare il capino di un uccello che scruti intorno il mondo nuovo che vede, e ha un gridino di protesta per esser così mostrata, Lei, la Pura e Casta, agli occhi di tanti, Lei che uomo non vedrà mai più nuda, la Tutta Vergine, la Santa ed Immacolata.

Coprite, coprite questo Boccio di giglio che non sarà mai aperto sulla terra e che darà, più bello ancor di Lei, il suo Fiore, pur restando boccio. Solo nei Cieli il Giglio del Trino Signore aprirà tutti i suoi petali. Perché lassù non vi è polvere di colpa che possa involontariamente profanare quel candore. Perché lassù vi è da accogliere, alla vista di tutto l’Empireo, il Trino Iddio che ora, fra pochi anni, celato in un cuore senza macchia, sarà in Lei: Padre, Figlio, Sposo.

Eccola di nuovo fra i lini e fra le braccia del padre terreno, cui Ella somiglia. Non ora. Ora è un abbozzo d’uomo. Io dico che gli somiglia fatta donna. Della madre non ha nulla. Del padre il colore della pelle e degli occhi, e certo anche dei capelli che, se ora sono bianchi, in gioventù erano certo biondi come lo dicono le sopracciglia; del padre le fattezze, rese più perfette e gentili per esser Lei donna, e quella Donna; del pa­dre il sorriso e lo sguardo e il modo di muoversi e la statura.

Pensando a Gesù, come lo vedo, trovo che Anna ha dato la sua statura al Nipote e il colore più avorio carico della pelle. Mentre Maria non ha quell’imponenza di Anna, una palma alta e flessuosa, ma la gentilezza del padre.

Anche le donne parlano del temporale e del prodigio del­la luna, della stella, dell’immenso arcobaleno, mentre con Gioacchino entrano dalla madre felice e le rendono la creaturina.

Anna sorride ad un suo pensiero:

«È la Stella» dice. «Il suo segno è nel cielo. Maria, arco di pace! Maria, stella mia! Maria, pura luna! Maria, perla nostra!».

«Maria la chiami? !».

«Si. Maria, stella e perla e luce e pace… ».

«Ma vuol dire anche amarezza… Non temi portarle sventura?».

«Dio è con Lei. È sua da prima che fosse. Egli la condurrà per le sue vie ed ogni amarezza si muterà in paradisiaco miele. Or sii della tua mamma… ancora per un poco, prima di es­ser tutta di Dio…» .

E la visione ha termine sul primo sonno di Anna madre e di Maria infante.


[1] Maria Valtorta – L’Evangelo come mi è stato rivelato, 5.1-6  – ed. CEV.

[2] Secondo l’opera valtortiana, Anna è il vero esempio di come avrebbero vissuto le donne la loro vita, la gravidanza ed il parto, se Eva non avesse peccato e meritato il decreto di Dio: «Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà». Genesi 1,[16].

[3] Da quanto appena detto, risulta anche chiaro che Gioacchino era coltivatore della terra ed era relativamente agiato, visto che era aiutato da garzoni.

[4] Cfr. Tobia 12, [17]Ma l’angelo disse loro: «Non temete; la pace sia con voi. Benedite Dio per tutti i secoli. [18]Quando ero con voi, io non stavo con voi per mia iniziativa, ma per la volontà di Dio: lui dovete benedire sempre, a lui cantate inni. [19]A voi sembrava di vedermi mangiare, ma io non mangiavo nulla: ciò che vedevate era solo apparenza. [20]Ora benedite il Signore sulla terra e rendete grazie a Dio. Io ritorno a colui che mi ha mandato. Scrivete tutte queste cose che vi sono accadute». E salì in alto. [21]Essi si rialzarono, ma non poterono più vederlo. [22]Allora andavano benedicendo e celebrando Dio e lo ringraziavano per queste grandi opere, perché era loro apparso l’angelo di Dio.

[5] Cfr. Tobia 13 [1]Allora Tobi scrisse questa preghiera di esultanza e disse:

«[2]Benedetto Dio che vive in eterno, il suo regno dura per tutti i secoli; Egli castiga e usa misericordia, fa scendere negli abissi della terra, fa risalire dalla Grande Perdizione e nulla sfugge alla sua mano. [3]Lodatelo, figli d’Israele, davanti alle genti; Egli vi ha disperso in mezzo ad esse[4]per proclamare la sua grandezza. Esaltatelo davanti ad ogni vivente; è lui il Signore, il nostro Dio, lui il nostro Padre, il Dio per tutti i secoli. [5]Vi castiga per le vostre ingiustizie, ma userà misericordia a tutti voi. Vi raduna da tutte le genti, fra le quali siete stati dispersi. [6]Convertitevi a lui con tutto il cuore e con tutta l’anima, per fare la giustizia davanti a Lui, allora Egli si convertirà a voi e non vi nasconderà il suo volto. [7]Ora contemplate ciò che ha operato con voi e ringraziatelo con tutta la voce; benedite il Signore della giustizia ed esaltate il re dei secoli.[8]Io gli do lode nel paese del mio esilio e manifesto la sua forza e grandezza a un popolo di peccatori. Convertitevi, o peccatori, e operate la giustizia davanti a lui; chi sa che non torni ad amarvi e vi usi misericordia? [9]Io esalto il mio Dio e celebro il re del cielo ed esulto per la sua grandezza. [10]Tutti ne parlino e diano lode a lui in Gerusalemme. Gerusalemme, città santa, ti ha castigata per le opere dei tuoi figli, e avrà ancora pietà per  i figli dei giusti. [11]Dà lode degnamente al Signore e benedici il re dei secoli; egli ricostruirà in te il suo tempio con gioia,[12]per allietare in te tutti i deportati, per far contenti in te tutti gli sventurati, per tutte le generazioni dei secoli. [13]Come luce splendida brillerai sino ai confini della terra; nazioni numerose verranno a te da lontano; gli abitanti di tutti i confini della terra verranno verso la dimora del tuo santo nome, portando in mano i doni per il re del cielo.  Generazioni e generazioni esprimeranno in te l’esultanza e il nome della città eletta durerà nei secoli. [14]Maledetti coloro che ti malediranno, maledetti saranno quanti ti distruggono, demoliscono le tue mura, rovinano le tue torri e incendiano le tue abitazioni!  Ma benedetti sempre quelli che ti ricostruiranno.[15]Sorgi ed esulta per i figli dei giusti, tutti presso di te si raduneranno e benediranno il Signore dei secoli. Beati coloro che ti amano beati coloro che gioiscono per la tua pace. [16]Beati coloro che avranno pianto per le tue sventure: gioiranno per te e vedranno tutta la tua gioia per sempre.  Anima mia, benedici il Signore, il gran re, [17]Gerusalemme sarà ricostruita come città della sua residenza per sempre. Beato sarò io, se rimarrà un resto della mia discendenza per vedere la tua gloria e dar lode al re del cielo.  Le porte di Gerusalemme saranno ricostruite di zaffiro e di smeraldo e tutte le sue mura di pietre preziose.  Le torri di Gerusalemme si costruiranno con l’oro e i loro baluardi con oro finissimo. Le strade di Gerusalemme saranno lastricate con turchese e pietra di Ofir. [18]Le porte di Gerusalemme risuoneranno di canti di esultanza, e in tutte le sue case canteranno: «Alleluia! Benedetto il Dio d’Israele e benedetti coloro che benedicono il suo santo nome per sempre e nei secoli!»

[6] Cfr. Genesi 9,[12]Dio disse:  «Questo è il segno dell’alleanza, che io pongo tra me e voi e tra ogni essere vivente che è con voi per le generazioni eterne. 13]Il mio arco pongo sulle nubi ed esso sarà il segno dell’alleanza tra me e la terra. [14]Quando radunerò le nubi sulla terra e apparirà l’arco sulle nubi [15]ricorderò la mia alleanza che è tra me e voi e tra ogni essere che vive in ogni carne e noi ci saranno più le acque per il diluvio, per distruggere ogni carne.[16]L’arco sarà sulle nubi e io lo guarderò per ricordare l’alleanza eterna tra Dio e ogni essere che vive in ogni carne che è sulla terra». 

Una risposta a “ 8 SETTEMBRE – Natività della Beata Vergine Maria, festa.”

I commenti sono chiusi.