XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO B – Mc 7,1-8.14-15.21-23

 

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a cura di Giovanna Busolini

(Sottolineature e grassetti sono i miei. Immagini tratte dal WEB)

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Prima Lettura

Dal libro del DeuteronòmioDt 4,1-2.6-8

Mosè parlò al popolo dicendo:

«Ora, Israele, ascolta le leggi e le norme che io vi insegno, affinché le mettiate in pratica, perché viviate ed entriate in possesso della terra che il Signore, Dio dei vostri padri, sta per darvi.

Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando e non ne toglierete nulla; ma osserverete i comandi del Signore, vostro Dio, che io vi prescrivo.

Le osserverete dunque, e le metterete in pratica, perché quella sarà la vostra saggezza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli, i quali, udendo parlare di tutte queste leggi, diranno: “Questa grande nazione è il solo popolo saggio e intelligente”.

Infatti quale grande nazione ha gli dèi così vicini a sé, come il Signore, nostro Dio, è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo? E quale grande nazione ha leggi e norme giuste come è tutta questa legislazione che io oggi vi do?».

Salmo Responsoriale

Dal Salmo 14

R. Chi teme il Signore abiterà nella sua tenda.Colui che cammina senza colpa,
pratica la giustizia
e dice la verità che ha nel cuore,
non sparge calunnie con la sua lingua. R.

Non fa danno al suo prossimo
e non lancia insulti al suo vicino.
Ai suoi occhi è spregevole il malvagio,
ma onora chi teme il Signore. R.

Non presta il suo denaro a usura
e non accetta doni contro l’innocente.
Colui che agisce in questo modo
resterà saldo per sempre. R.

Seconda Lettura

Dalla lettera di san Giacomo apostolo
Gc 1,17-18.21b-22.27
Fratelli miei carissimi, ogni buon regalo e ogni dono perfetto vengono dall’alto e discendono dal Padre, creatore della luce: presso di lui non c’è variazione né ombra di cambiamento. Per sua volontà egli ci ha generati per mezzo della parola di verità, per essere una primizia delle sue creature.Accogliete con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza. Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi.Religione pura e senza macchia davanti a Dio Padre è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo.
Dal Vangelo secondo Marco

Mc 7,1-8.14-15.21-23

In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme.

Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?».

Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto:
“Questo popolo mi onora con le labbra,
ma il suo cuore è lontano da me.
Invano mi rendono culto,
insegnando dottrine che sono precetti di uomini”.
Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate
la tradizione degli uomini».

Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». E diceva [ai suoi discepoli]: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».

Carissimi,

quest’oggi la lezione e la spiegazione di Gesù, tramite Maria Valtorta, su questo brano del Vangelo di Marco è veramente unica. Come fanno riflettere le parole che usa contro scribi e farisei ipocriti!

Finalmente si capirà anche bene che cosa voleva significare quando diceva: “Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro.”

Vi consiglio caldamente di leggere questi due capitoli che sono subito successivi alla risurrezione del figlio della vedova di Naim.

Maria Valtorta: L’Evangelo come mi è stato rivelato. [300.1-9] – ed. CEV

lLa città di Naim è in gran festa. Essa ospita Gesù. Per la prima volta dopo il miracolo del giovane Daniele risuscitato da morte.

Preceduto e seguito da un buon numero di persone, Gesù traversa, benedicendo, la città. A quelli di Naim si sono unite persone di altri luoghi, provenienti da Cafarnao, dove erano andati a cercarlo e da dove erano stati mandati a Cana e da qui a Naim. Ho l’impressione che, ora che ha molti discepoli, Gesù abbia costituito come una rete di informazioni, di modo che i pellegrini che lo cercano lo possano trovare nonostante il suo continuo spostarsi, sebbene di poche miglia al giorno, quanto lo consente la stagione e la brevità delle giornate. E fra questi, che sono venuti a cercarlo da altrove, non mancano farisei e scribi, in apparenza ossequienti…

2Gesù è ospite in casa del giovane risuscitato. Nella stessa sono convenuti i notabili del paese. E la madre di Daniele, vedendo gli scribi e i farisei – sette come i peccati capitali – tutta umile li invita, scusandosi di non poter offrire loro più degna dimora.

«C’è il Maestro, c’è il Maestro, donna. Ciò dà valore anche a una spelonca. Ma la tua casa è ben più di una spelonca, e noi vi entriamo dicendo: “Pace a te e alla tua casa”».

Infatti la donna, pur non essendo certo una ricca, si è fatta in quattro per onorare Gesù. Certo sono entrate in lizza tutte le ricchezze di Naim, messe cooperativamente in moto per addobbare casa e mensa. E le rispettive proprietarie occhieggiano, da tutti i punti possibili, la comitiva che passa per il corridoio di ingresso diretta a due stanze prospicienti, nelle quali la padrona di casa ha approntato le tavole. Forse hanno chiesto questo solo, per il prestito delle stoviglie e tovaglie e sedili, e per la loro prestazione d’opera ai fornelli: questo di vedere da vicino il Maestro e respirare dove Egli respira. Ed ora si affacciano qua e là, rosse, infarinate, incenerate, o con le mani sgocciolanti, a seconda delle loro incombenze culinarie; sbirciano, si prendono il loro scampolino di sguardo divino, la loro briciolina di voce divina, bevono la dolce benedizione e la dolce figura con lo sguardo e l’udito, e tornano ancor più rosse ai loro fornelli, madie e acquai: felici.

Felicissima, poi, quella che con la padrona di casa offre i bacili delle abluzioni agli ospiti di riguardo. È una giovanetta bruna nei capelli e negli occhi, ma dal colorito soffuso di rosa. E ancor più rosa diventa quando la padrona di casa avverte Gesù che essa è la sposa di suo figlio e presto verranno compiute le nozze. «Abbiamo atteso la tua venuta a compirle, perché tutta la casa fosse santificata da Te. Ma ora benedici lei pure, acciò sia buona moglie in questa casa».

Gesù la guarda e, poiché la sposina si curva, le impone le mani dicendo: «Rifioriscano in te le virtù di Sara, Rebecca e Rachele, e da te si generino dei veri figli di Dio, per la sua gloria e per la letizia di questa dimora».

Ormai Gesù e i notabili sono tutti purificati ed entrano nella stanza del convito con il giovane padrone di casa, mentre gli apostoli con altri uomini di Naim meno influenti entrano nella stanza di fronte. E il convito ha luogo.

3Capisco dai discorsi che, prima che avesse inizio la visione, Gesù aveva predicato e guarito in Naim. Ma i farisei e scribi poco si soffermano su questo, mentre tempestano di domande quelli di Naim per sapere particolari sulla malattia di cui era morto Daniele, e quante ore erano intercorse dalla morte alla risurrezione, e se era stato completamente imbalsamato, ecc. ecc.

Gesù si astrae da tutte queste indagini parlando col risuscitato, che sta benone e che mangia con un formidabile appetito. Ma un fariseo chiama Gesù per chiedergli se Egli era al corrente della malattia di Daniele.

«Venivo da Endor per puro caso, avendo voluto accontentare Giuda di Keriot come avevo accontentato Giovanni di Zebedeo. Non sapevo neppure di avere a passare per Naim quando avevo iniziato il cammino per il pellegrinaggio pasquale» risponde Gesù.

«Ah! non eri andato apposta a Endor?» chiede stupito uno scriba.

«No. Non ne avevo la minima volontà di andarvi, allora».

«E come mai allora vi andasti?».

«L’ho detto, perché Giuda di Simone voleva andarvi».

«E perché questo capriccio?».

«Per vedere la grotta della maga».

«Forse Tu ne avevi parlato…».

«Mai! Non ne avevo motivo».

«Voglio dire… forse hai spiegato con quell’episodio altri sortilegi, per iniziar i tuoi discepoli a…».

«A che? Per iniziare alla santità non c’è bisogno di pellegrinaggi. Una cella o una landa deserta, un picco montuoso o una casa solitaria, servono ugualmente. Basta che in chi insegna sia autorità e santità, e in chi ascolta volontà di santificarsi. Io insegno questo e non altro».

«Ma i miracoli che ora essi, i discepoli, fanno, che sono se non prodigi e…».

«E volere di Dio. Questo solo. E più santi diverranno e più ne faranno. Con l’orazione, il sacrificio e la loro ubbidienza a Dio. Non con altro».

«Ne sei sicuro?» chiede uno scriba tenendosi il mento nella mano e sbirciando di sotto in su Gesù. E il suo tono è discretamente ironico e anche compassionevole.

«Io queste armi ho dato loro e queste dottrine. Se poi fra essi, e sono tanti, ve ne sarà alcuno che si corrompe con indegne pratiche, per superbia o altro, non da Me sarà venuto il consiglio. Io posso pregare per vedere di redimere il colpevole. Posso impormi dure penitenze espiatorie per ottenere che Dio lo aiuti particolarmente con lumi della sua sapienza a vedere l’errore. Posso gettarmi ai suoi piedi per supplicarlo, con tutto il mio amore di Fratello, Maestro e Amico, di lasciare la colpa. Né penserei di avvilirmi a far ciò, perché il prezzo di un’anima è tale che merita subire ogni umiliazione per ottenere quest’anima. Ma di più non posso fare. E, se ciononostante la colpa durerà, pianto e sangue gemeranno occhi e cuore del tradito e incompreso Maestro e Amico». 

Che dolcezza e che tristezza nella voce e nell’aspetto di Gesù!

Scribi e farisei si guardano fra di loro. Tutto un gioco di sguardi. Ma non dicono altro in merito.

4Interrogano invece il giovane Daniele. Si ricorda cosa è la morte? Che provò tornando alla vita? E che vide nello spazio fra morte e vita?

«Io so che ero malato mortalmente e patii l’agonia. Oh! tremenda cosa! Non mi ci fate pensare!… Eppure verrà il giorno in cui la dovrò risoffrire! Oh! Maestro!…». Lo sguardo terrorizzato, sbianchendo al pensiero di dovere morire di nuovo.

Gesù lo conforta dolcemente dicendo: «La morte è di per sé espiazione. Tu, morendo due volte, sarai completamente mondo da macchie e gioirai subito del Cielo. Però questo pensiero ti faccia vivere da santo, onde solo involontarie e veniali colpe siano in te».

Ma i farisei tornano all’attacco: «Ma cosa provasti tornando alla vita?».

«Nulla. Mi sono trovato vivo e sano come mi fossi svegliato da un lungo sonno pesante».

«Ma ti ricordavi di esser morto?».

«Mi ricordavo che ero stato molto malato, fino all’agonia, e basta».

«E che ricordi dell’altro mondo?».

«Niente. Non c’è niente. Un buco nero, uno spazio vuoto nella mia vita… Nulla».

«Allora per te non c’è il Limbo, il Purgatorio, l’Inferno?».

«Chi dice che non ci sono? Certo che ci sono! Ma io non li ricordo».

«Ma sei sicuro di esser stato morto?».

Scattano tutti quelli di Naim: «Se era morto? E che volete di più? Quando lo ponemmo sulla bara era già in procinto di puzzare. E poi! Con tutti quei balsami e quelle bende sarebbe morto anche un gigante».

«Ma tu non ti ricordi di esser morto?».

«Vi ho detto di no». Il giovane si impazienta e aggiunge: «Ma cosa volete stabilire con questi lugubri discorsi? Che tutto un paese facesse mostra di avere me morto, mia madre compresa, la mia sposa compresa, che era a letto morente di dolore, io compreso, legato, imbalsamato, mentre non era vero? Che dite? Che a Naim si fosse tutti bambini o ebeti in voglia di scherzare? Mia madre è divenuta bianca in poche ore. La sposa mia dovette essere curata perché dolore e gioia l’avevano resa come folle. E voi dubitate? E perché avremmo fatto questo?».

«Perché? È vero! Perché lo avremmo fatto?» dicono quelli di Naim.

5Gesù non parla. Giocherella colla tovaglia come fosse assente. I farisei non sanno che dire… Ma Gesù apre la bocca all’improvviso, quando la conversazione e l’argomento parevano finiti, e dice: «Il perché è questo. Essi (e accenna farisei e scribi) vogliono stabilire che il tuo risorgere non fu che un ben congegnato giuoco per accrescere la mia stima presso le folle. Io ideatore, voi complici per tradire Dio e prossimo. No. Io lascio le ciurmerie agli indegni. Non ho bisogno di stregonecci, né di stratagemmi, di giochetti o di complicità per essere ciò che sono. Perché volete negare a Dio il potere di restituire l’anima ad una carne? Se Egli la dà, quando la carne si forma, e crea le anime di volta in volta, non potrà renderla quando l’anima, tornando alla carne per preghiera del suo Messia, può essere fomite di venuta alla Verità di molte turbe? Potete negare a Dio il potere del miracolo? Perché lo volete negare?».

«Sei Tu Dio?».

«Io son chi sono. I miei miracoli e la mia dottrina dicono chi Io sia».

«Ma allora perché costui non ricorda, mentre gli spiriti evocati sanno dire cosa è l’al di là?».

«Perché quest’anima parla la verità, già santificata come è dalla penitenza di una prima morte, mentre ciò che parla sulle labbra dei negromanti non è verità».

«Ma Samuele…».

«Ma Samuele venne per ordine di Dio, non della maga, a portare al fedifrago della Legge il verdetto del Signore che non si irride nei suoi comandi».

6«E allora perché i tuoi discepoli lo fanno?».

La voce arrogante di un fariseo, che punto sul vivo alza il tono della stessa, richiama l’attenzione degli apostoli che sono nella stanza di fronte, separati da un corridoio largo poco più di un metro, non isolati da porte o tende pesanti. Sentendosi chiamati in causa, si alzano e vengono senza far rumore nel corridoio, in ascolto.

«In che lo fanno? Spiegati, e se la tua accusa è vera Io li avviserò di non fare più cosa contraria alla Legge».

«In cosa lo so io, e con me molti altri. Ma Tu che risusciti i morti e ti dici più che profeta, scoprila da Te. Noi non te la diremo certo. Hai occhi, del resto, per vedere anche molte altre cose, fatte quando non si devono fare, o non fatte quando si devono fare, commesse dai tuoi discepoli. E Tu non te curi».

«Vogliate indicarmene alcune».

«Perché i tuoi discepoli trasgrediscono le tradizioni degli antichi? Oggi li abbiamo osservati. Anche oggi! Non più tardi di un’ora fa! Essi sono entrati nella loro sala per mangiare e non si sono purificate, avanti, le mani!». Se i farisei avessero detto: «e prima hanno sgozzato dei cittadini», non avrebbero avuto un tono simile di profondo orrore.

7«Li avete osservati, sì. Ci sono tante cose da vedere. E belle, e buone. Cose che fanno benedire il Signore di averci dato la vita perché avessimo modo di vederle e perché ha creato o permesso quelle cose. Eppure voi non le osservate. E con voi molti altri. Ma perdete tempo e pace coll’inseguire le cose non buone.

Sembrate sciacalli, meglio, iene correnti sulla scia di un fetore, trascurando le ondate di profumi che vengono nel vento da giardini pieni di aromi. Le iene non amano gigli e rose, gelsomini e canfore, cinnamomi e garofani. Per loro sono sgradevoli odori. Ma il lezzo di un corpo putrefacente in fondo ad un burrone, o su una carraia, sepolto sotto i rovi dove l’ha gettato l’assassino, o gettato dalla tempesta sulla spiaggia deserta, gonfio, violaceo, crepato, orrendo, oh! quello è profumo gradevole alle iene! E fiutano il vento della sera, che condensa e trasporta con sé tutti gli odori che il sole ha distillato dalle cose che ha scaldato, per sentire questo vago, invitante odore, e scopertolo, e afferratane la direzione, eccole partire di corsa, col muso all’aria, i denti già scoperti nel fremito delle mascelle simile ad un isterico riso, per andare là dove è putrefazione. E, sia cadavere d’uomo o di quadrupede, o di biscia spezzata dal contadino, o di faina uccisa dalla massaia, fosse anche un semplice topo, oh! ecco che piace, piace, piace! E in quel fetore ribollente si affondano le zanne, e si pasteggia, e ci si lecca le labbra…

Degli uomini si santificano giorno per giorno? non è cosa che interessi! Ma se uno solo fa del male, o in più d’uno lasciano, non un comando divino, ma una pratica umana – chiamatela pure tradizione, precetto, come volete, è sempre cosa umana – ecco che allora si va, si nota. Si va anche dietro a un sospetto… tanto per godere, vedendo che il sospetto è realtà.

8Ma allora, rispondete, rispondete voi che siete venuti non per amore, non per fede, non per onestà, ma per malvagio scopo, rispondete: perché voi trasgredite il comando di Dio per una vostra tradizione? Non vorrete già dirmi che una tradizione è da più di un comandamento? Eppure Dio ha detto: “Onora il padre e la madre, e chi maledirà il padre e la madre è reo di morte”! E voi invece dite: “Chiunque abbia detto al padre e alla madre: ‘Quello che dovresti avere da me è corban’, non è più obbligato ad usarlo per padre e madre”. Dunque voi con la vostra tradizione avete annullato il comando di Dio.

Ipocriti! Ben disse di voi Isaia profetando: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da Me, perciò mi onorano invano insegnando dottrine e comandamenti d’uomo”.

Voi, mentre trascurate i precetti di Dio, state alle tradizioni degli uomini, alle lavature di anfore e calici, di piatti e di mani e simili altre cose. Mentre giustificate l’ingratitudine e l’avarizia di un figlio coll’offrirgli la scappatoia dell’offerta di sacrificio per non dare un pane a chi lo ha generato ed ha bisogno di aiuto, ed egli ha l’obbligo di onorarlo perché gli è genitore, avete scandalo perché uno non si lava le mani. Voi alterate e violate la parola di Dio per ubbidire a parole da voi fatte e da voi elevate a precetto. Voi vi proclamate perciò più giusti di Dio. Voi vi arrogate diritto di legislatori mentre Dio solo è Legislatore nel suo popolo. Voi…».

E continuerebbe, ma il gruppo nemico esce, sotto la grandine delle accuse, urtando gli apostoli e quanti erano nella casa, ospiti o aiutanti della padrona, e che si erano raccolti nel corridoio, attirati dallo squillo della voce di Gesù.

9Gesù, che si era alzato in piedi, si torna a sedere, facendo cenno ai presenti di entrare tutti dove Egli è, e dice loro: «Ascoltatemi tutti e intendete questa verità. Non vi è nulla fuori dell’uomo che entrando in esso possa contaminarlo. Ma quello che esce dall’uomo, questo è quello che contamina. Chi ha orecchie da intendere intenda e usi ragione per comprendere e volontà per attuare. E ora andiamo. Voi di Naim perseverate nel bene e sia sempre con voi la mia pace».

Si alza, saluta in particolare i padroni di casa e si avvia per il corridoio.

Ma vede le donne amiche, che raccolte in un angolo lo guardano incantate, e va diretto da loro dicendo: «Pace a voi pure. Vi compensi il Cielo per avermi sovvenuto con un amore che non mi ha fatto rimpiangere la tavola materna. Ho sentito il vostro amore di madri in ogni mica di pane, in ogni intingolo o arrosto, nel dolce del miele, nel vino fresco e profumato. Vogliatemi sempre bene così, buone donne di Naim. E un’altra volta non fate tanta fatica per Me. Basta un pane e un pugno di ulive condito col vostro sorriso materno e il vostro sguardo onesto e buono. Siate felici nelle vostre case, perché la riconoscenza del Perseguitato è su voi ed Egli parte consolato dal vostro amore».

Le donne, beate eppure piangenti, sono tutte in ginocchio, ed Egli, nel passare, le sfiora una per una sui capelli bianchi o neri, come a benedirle. E poi esce e riprende il cammino…

Le prime ombre della sera calano nascondendo il pallore di Gesù amareggiato da troppe cose.

Maria Valtorta: L’Evangelo come mi è stato rivelato. [301.1-6],ed. CEV.

1Gesù non torna altro che a Endor. Si ferma alla prima casa del paese, che è più un ovile che una casa. Ma, appunto perché tale, con stalle basse, chiuse, colme di fieni, può ricoverare i tredici pellegrini. Il padrone della stessa, un uomo rude ma buono, si affretta a portare una lucerna e un secchiello di latte spumoso, più delle forme di pane molto scuro. Poi si ritira, benedetto da Gesù che resta solo coi suoi dodici.

Gesù offre e distribuisce il pane e, in mancanza di scodelle o calici, ognuno inzuppa le sue fette di pane nel secchiello e beve, quando ha sete, direttamente allo stesso. Gesù beve soltanto un poco di latte. 2È serio, silenzioso.. . Tanto che, finito il pasto, saziata la fame che negli apostoli non manca mai, finiscono ad accorgersi del suo mutismo.

Andrea chiede per primo: «Cosa hai, Maestro? Mi sembri triste o stanco…».

«Non nego di esserlo».

«Perché? Per quei farisei? Ma ormai dovresti averci fatto l’abitudine. Quasi quasi ce l’ho fatta io che… via! Tu sai come ero le prime volte con loro. Essi cantano sempre quella canzone!… Le serpi non possono che sibilare, infatti, e mai nessuna di esse riuscirà a rifare il canto dell’usignolo. Si finisce a non farci più caso», dice Pietro, parte con convinzione, parte per rasserenare Gesù.

«Ed è in questo modo che si perde il controllo e si casca nelle loro spire. Vi prego di non abituarvi mai alle voci del Male come fossero voci innocue».

«Oh! bene! Ma se è per questo solo che Tu sei triste, fai male. Tu vedi come ti ama il mondo», dice Matteo.

«Ma è per questo solo che sei triste così? Dimmelo, Maestro buono. O ti hanno riferito menzogne, insinuato calunnie, sospetti, che so? su noi che ti amiamo?», chiede premuroso e carezzevole l’Iscariota, abbracciando con un braccio Gesù che è seduto sul fieno al suo fianco.

3Gesù volta il viso nella direzione di Giuda. I suoi occhi hanno un baleno fosforico alla luce tremula della lucerna posata sul suolo in mezzo al cerchio degli assisi sul fieno, messo come basso sedile in tondo. Gesù guarda ben fisso Giuda di Keriot e nel guardarlo gli chiede: «E tu mi conosci forse tanto stolto da accogliere per vere le insinuazioni di chicchessia, sino a turbarmene? Sono le realtà, Giuda di Simone, quelle che mi turbano», e il suo sguardo non lascia per un momento di conficcarsi, diritto come uno specillo, nella pupilla bruna di Giuda.

«Quali realtà ti turbano, allora?», insiste sicuro l’Iscariota.

«Quelle che vedo nel fondo dei cuori e leggo sulle fronti detronizzate». Gesù marca molto questa parola.

Tutti sono in subbuglio: «Detronizzate? Perché? Che vuoi dire?».

«Un re si detronizza quando è indegno di stare sul trono e gli viene per prima cosa strappata la corona, che è sulla sua fronte come sul luogo più nobile dell’uomo, unico animale che tenga la fronte eretta verso il cielo, essendo animale come materia, ma soprannaturale come essere dotato d’anima. Ma non c’è bisogno di esser re su un trono terreno per essere detronizzati. Ogni uomo è re per l’anima e il suo trono è nel Cielo. Ma quando un uomo prostituisce la sua anima e bruto diviene, e demone diviene, allora si detronizza. Il mondo è pieno di fronti detronizzate, che non stanno più erette verso il Cielo ma curve verso l’Abisso, appesantite dalla parola che Satana ha scolpito su esse. La volete sapere? È quella che Io leggo sulle fronti. Vi è scritto: “Venduto!”. E perché non abbiate dubbi su chi è il compratore, vi dico che è Satana, in se stesso o nei suoi servi che sono nel mondo».

«Ho capito! Quei farisei, per esempio, sono servi di un servo più grande di loro, il quale è servo di Satana», dice convinto Pietro.

Gesù non ribatte nulla.

4«Però… Sai, Maestro, che quei farisei, dopo avere sentito quelle tue parole, se ne sono andati scandalizzati? Urtandomi nell’uscire lo dicevano… Sei stato molto reciso», osserva Bartolomeo.

E Gesù replica: «Ma molto vero. Non è colpa mia, ma loro, se si devono dire certe cose. Ed è ancora carità la mia di dirle. Qualunque pianta non piantata dal mio Padre celeste va sradicata. Ed è pianta non piantata da Lui l’inutile brughiera di erbe parassitarie, opprimenti, spinose, che opprimono il seme della Verità santa. È carità estirpare tradizioni e precetti che soffocano il Decalogo, lo travisano, lo rendono inerte e impossibile ad osservarsi. È carità per le anime oneste farlo. Riguardo ad essi, ai protervi testardi e chiusi ad ogni azione e consiglio dell’Amore, lasciateli fare e siano seguiti da quelli che sono, per animo e tendenze, simili a loro. Sono ciechi che guidano dei ciechi. Se un cieco ne guida un altro, non potranno che cadere tutti e due nella fossa. Lasciateli nutrirsi delle loro contaminazioni alle quali danno nome “purezza”. Esse non li possono oltre contaminare, perché non fanno che adagiarsi sulla matrice dalla quale provengono».

5«Questo che dici ora si riattacca con quanto hai detto in casa di Daniele, non è vero? Che non è ciò che entra nell’uomo ciò che contamina, ma ciò che da lui esce», chiede pensoso Simone lo Zelote.

«Sì», dice brevemente Gesù.

Pietro, dopo un silenzio, perché la serietà di Gesù congela anche i caratteri più esuberanti, chiede: «Maestro, io, e non io solo, non ho capito bene la parabola. Spiegacela un poco. Come è che ciò che entra non contamina e ciò che esce contami­na? Io, se prendo un’anfora monda e vi metto acqua sporca, la contamino. Perciò, ciò che entra nell’anfora contamina la stessa. Ma, se da un’anfora colma di acqua pura io verso al suolo dell’acqua, non contamino l’anfora, perché dall’anfora esce acqua pura. E allora?».

6E Gesù: «Noi non siamo anfore, Simone. Non siamo anfore, amici. E non è tutto puro nell’uomo! Ma ora anche voi siete senza intelletto? Riflettete al caso che i farisei portavano a vostra accusa. Voi, dicevano, vi contaminavate perché portavate cibo alla bocca con mani polverose, sudate, impure insomma. Ma quel cibo dove andava? Dalla bocca allo stomaco, da questo al ventre, dal ventre alla cloaca. Ma può dunque portare impurità a tutto il corpo e a ciò che nel corpo è contenuto, se passa solo dal canale a ciò destinato, compiendo il suo uffizio di nutrire la carne, questa sola, e finendo, come è giusto che finisca, in una fogna? Non è questo che contamina l’uomo! Quello che contamina l’uomo è ciò che è suo, unicamente suo, generato e partorito dal suo io. Ossia ciò che egli ha nel cuore e dal cuore sale alle labbra e alla testa e corrompe il pensiero e la parola e contamina tutto l’uomo. È dal cuore che vengono i cattivi pensieri, gli omicidi, gli adulteri, le fornicazioni, i furti, le false testimonianze e le bestemmie. È dal cuore che vengono le avarizie, le libidini, le superbie, le invidie, le ire, gli appetiti smodati, gli ozi peccaminosi. È dal cuore che vengono i fomiti a tutte le azioni. E se il cuore è malvagio saranno malvagie come il cuore. Tutte le azioni: dalle idolatrie alle mormorazioni insincere… Tutte queste cose malvagie, che procedono dall’interno all’esterno, contaminano l’uomo, non il mangiare senza lavarsi le mani. La scienza di Dio non è cosa terra a terra, fanghiglia che ogni piede calpesta. Ma è sublime cosa che vive nelle plaghe delle stelle e di là scende con raggi di luce ad informare di sé i giusti. Non vogliate, voi almeno, strapparla dai Cieli per avvilirla nel fango… Andate al riposo, ora. Io esco a pregare».