XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C) – Lc 15,1-32

A cura di Giovanna Busolini

(Sottolineature, grassetti e note sono i miei. Immagini tratte dal WEB.)

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Prima Lettura

Il Signore si penti del male che aveva minacciato di fare al suo popolo.

Dal libro dell’Esòdo
Es 32,7-11.13-14

In quei giorni, il Signore disse a Mosè: «Va’, scendi, perché il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto, si è pervertito. Non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicato! Si sono fatti un vitello di metallo fuso, poi gli si sono prostrati dinanzi, gli hanno offerto sacrifici e hanno detto: “Ecco il tuo Dio, Israele, colui che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto”».

Il Signore disse inoltre a Mosè: «Ho osservato questo popolo: ecco, è un popolo dalla dura cervice. Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li divori. Di te invece farò una grande nazione».

Mosè allora supplicò il Signore, suo Dio, e disse: «Perché, Signore, si accenderà la tua ira contro il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto con grande forza e con mano potente? Ricòrdati di Abramo, di Isacco, di Israele, tuoi servi, ai quali hai giurato per te stesso e hai detto: “Renderò la vostra posterità numerosa come le stelle del cielo, e tutta questa terra, di cui ho parlato, la darò ai tuoi discendenti e la possederanno per sempre”».

Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo.

Salmo Responsoriale

Dal Salmo 50 (51)

R. Ricordati di me, Signore, nel tuo amore.

Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;
nella tua grande misericordia
cancella la mia iniquità.
Lavami tutto dalla mia colpa,
dal mio peccato rendimi puro. R.

Crea in me, o Dio, un cuore puro,
rinnova in me uno spirito saldo.
Non scacciarmi dalla tua presenza
e non privarmi del tuo santo spirito. R.

Signore, apri le mie labbra
e la mia bocca proclami la tua lode.
Uno spirito contrito è sacrificio a Dio;
un cuore contrito e affranto tu, o Dio, non disprezzi. R.

Seconda Lettura

Cristo è venuto per salvare i peccatori.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timòteo
 
1 Tm 1,12-17
 
Figlio mio, rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede, e così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù.Questa parola è degna di fede e di essere accolta da tutti: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Cristo Gesù ha voluto in me, per primo, dimostrare tutta quanta la sua magnanimità, e io fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna.Al Re dei secoli, incorruttibile, invisibile e unico Dio, onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.

Vangelo

Ci sarà gioia in cielo per un solo peccatore che si converte.

Dal Vangelo secondo Luca

Lc 15,1-32

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».

Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.

Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.

Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Carissimi tutti,

il Vangelo di Luca della prossima domenica ci riporta ben tre delle più belle parabole di Gesù. Luca le mette tutte insieme come se Gesù le avesse raccontate una dopo l’altra, ma in realtà esse sono state dette in tempi diversi e sono state dedicate a dei personaggi ben precisi.

Nei testi di Maria Valtorta ci sarà possibile conoscere in dettaglio tutto il percorso fatto da Gesù a questo riguardo. Particolarmente toccante e significativa la Parabola della pecorella smarrita che è rivolta personalmente alla Maddalena, quando ancora era una donna schiava di sette demoni.

Maria Valtorta: L’Evangelo come mi è stato rivelato, [233.1-5], ed. CEV

1Gesù parla alle folle. Montato sul margine arborato di un torrentello, parla a molta gente sparsa su un campo che ha il grano segato e mostra l’aspetto desolante delle stoppie arse.

È sera. Il crepuscolo scende, ma già sale la luna. Una bella e chiara sera di prima estate. Dei greggi tornano all’ovile e il din-don dei campanacci si mescola ad un grande cantare di grilli o cicale, un grande gri, gri, gri

Gesù prende lo spunto dalle mandre che passano. Dice:

LA PECORELLA SMARRITA

«Il Padre vostro è come un pastore sollecito.

Che fa il pastore buono? Cerca pascoli buoni per le sue pecorelle, quelli dove non sono cicute e tossici, ma dolci trifogli, aromatiche mentucce e amari ma salutiferi radicchi. Cerca là dove insieme al cibo sia fresco e puro ruscello e ombria di piante e non regnino aspidi fra il verde delle zolle. Non si cura di preferire i pascoli più grassi perché sa che in essi è facile trovare insidia di colubri e d’erbe nocive, ma dà le sue preferenze ai pascoli montani, dove le rugiade fan monda e fresca l’erbetta, ma il sole la pulisce dai rettili, là dove l’aria è mossa e buona e non pesante e malsana come quella di pianura. Il buon pastore osserva una per una le sue pecore. Le cura se sono malate, le medica se ferite. A quella che si ammalerebbe per troppa ingordigia di cibo dà la voce, all’altra che prenderebbe un male per rimanere troppo all’umido o troppo al sole dice di venire in altro luogo. E se una svogliata non mangia, egli le cerca gli steli aciduli e aromatici atti a risvegliarle l’appetito e glieli porge di sua mano parlandole come a persona amica.

Così fa il Padre buono che è nei Cieli coi suoi figli erranti sulla Terra. Il suo amore è la verga che li raduna, la sua voce è la guida, i suoi pascoli la sua Legge, il suo ovile il Cielo.

2Ma ecco che una pecorella lo lascia. Quanto Egli l’amava! Era giovane, pura, candida, come nuvola in cielo d’aprile. Il pastore la guardava con tanto amore, pensando a quanto bene poteva ad essa fare e quanto amore riceverne. Ed essa lo abbandona.

È passato, lungo la via che costeggia il pascolo, un tentatore. Non ha la casacca austera, ma veste una veste di mille colo­ri. Non ha cintura di pelle con l’ascia e il coltello pendenti, ma una cintura d’oro da cui pendono sonagli argentini, melodiosi come voce di usignolo, e fiale di essenze che inebriano… Non ha bordone come il pastore buono col quale radunare e difendere le pecore, e se non basta il bordone egli è pronto a difenderle con l’ascia e coltello e anche con la vita. Ma questo tentatore che passa ha fra le mani un turibolo brillante di gemme, da cui sale un fumo che è lezzo e profumo insieme, ma che sba­lordisce così come lo sfaccettio dei gioielli – oh! quanto falsi! – abbacina. Egli va cantando e lascia cadere manate di un sale che brilla sulla strada oscura…

Novantanove pecore guardano e stanno. La centesima, la più giovane e cara, fa un balzo e scompare dietro al tentatore. Il pastore la chiama. Ma lei non torna. Va più veloce del vento per raggiungere colui che è passato e, per sorreggersi nella corsa, gusta di quel sale che le scende dentro e la brucia di un delirio strano per cui anela ad acque fonde e verdi in un cupo di selve. E nelle selve, dietro il tentatore, si sprofonda e penetra e sale e scende e cade… una, due, tre volte. E una, due, tre volte sente intorno al suo collo l’abbraccio viscido dei rettili, e volendo bere beve acque inquinate, e volendo nutrirsi morde erbe lucide di bave schifose.

3Che fa intanto il pastore buono? Chiude al sicuro le novantanove fedeli (G Non le abbandona nel deserto senza riparo, come spesso sentiamo dire nelle omelie…) e poi si pone in cammino, e non resta di andare sinché non trova tracce della perduta. Poiché ella non torna a lui, che pure affida ai venti le sue parole di richiamo, egli va a lei. E la vede da lungi, ebbra fra le spire dei rettili, tanto ebbra che non sente nostalgia del volto che l’ama; e lo deride. E la rivede, colpevole di esser penetrata, ladra, nell’altrui dimora, tanto colpevole che non osa più guardarlo… Eppure il pastore non si stanca… e va. La cerca, la cerca, la segue, l’incalza. Piangendo sulle tracce della perduta – lembi di vello: lembi d’anima; tracce di sangue: delitti diversi; lordure: prove della sua lussuria – egli va e la raggiunge.

Ah! ti ho trovata, diletta. Ti ho raggiunta! Quanto cammino ho fatto per te. Per riportarti all’ovile. Non chinare la fronte avvilita. Il tuo peccato è sepolto nel mio cuore. Nessuno, fuorché Io che ti amo, lo conoscerà. Io ti difenderò dalle critiche altrui, ti coprirò con la mia persona per farti scudo contro le pietre degli accusatori. Vieni. Sei ferita? Oh! mostrami le tue ferite. Le conosco. Ma voglio che tu me le mostri con la confidenza che avevi quando eri pura e guardavi a me, tuo pastore e dio, con occhio innocente. Eccole. Hanno tutte un nome. Come sono profonde! Chi te le ha fatte tanto profonde queste nel fondo del cuore? Il Tentatore, lo so. È lui che non ha bordone né ascia, ma che colpisce più a fondo col suo morso avvelenato, e dietro a lui colpiscono i gioielli falsi del suo turibolo: coloro che ti hanno sedotta col loro brillare… e che erano zolfi d’inferno tratti alla luce per arderti il cuore. Guarda quante ferite! Quanto vello lacerato, quanto sangue, quanti rovi.

4O povera piccola anima illusa! Ma dimmi: se Io ti perdono, tu mi ami ancora? Ma dimmi: se Io ti tendo le braccia, tu vi accorri? Ma dimmi: hai sete dell’amore buono? E allora vieni e rinasci. Torna nei pascoli santi. Piangi. Il tuo col mio pianto lavano le tracce del tuo peccato, ed Io per nutrirti, poiché sei consumata dal male che ti ha arsa, mi apro il petto, le vene mi apro, e ti dico: “Pasciti, ma vivi!”. Vieni, che ti prendo sulle braccia. Andremo più solleciti ai pascoli santi e sicuri. Tutto dimenticherai di quest’ora disperata. E le novantanove sorelle, le buone, giubileranno per il tuo ritorno perché, Io te lo dico, mia pecorella smarrita che ho cercato venendo da tanto lontano, che ho raggiunto, che ho salvato, si fa più festa fra i buoni per uno smarrito che torna, che non per novantanove giusti che mai si sono allontanati dall’ovile».

5Gesù non si è mai voltato a guardare sulla via che ha alle spalle e sulla quale è sopraggiunta, fra le penombre della sera, Maria di Magdala, ancora elegantissima, ma vestita almeno, e ricoperta da un velo oscuro che ne confonde i tratti e le forme. Ma quando Gesù parla dal punto: «Io ti ho trovata, diletta», Maria porta le mani sotto al velo e piange, piano e continuamente.

Maria Valtorta: L’Evangelo come mi è stato rivelato. [241.1-8], ed. CEV 

1La barca bordeggia il tratto da Cafarnao a Magdala.

Maria di Magdala è per la prima volta nella sua posa abituale di convertita: seduta sul fondo della barca ai piedi di Gesù, che è invece austeramente seduto su una delle panchette della stessa barca. Il viso della Maddalena è oggi molto diverso da quello di ieri; non è ancora il viso radioso della Maddalena che corre incontro al suo Gesù ogni volta che Egli va a Betania, ma è già un viso sgombro da timori e da tormenti, e l’occhio, che prima era avvilito per quanto prima ancora era sfrontato, ora è serio ma sicuro, e nella sua dignitosa serietà brilla ogni tanto una scintilla di letizia ascoltando Gesù che parla con gli apostoli o con sua Madre e Marta.

Parlano della bontà di Porfirea, così semplice e così amoro­sa, parlano dell’accoglienza affettuosa di Salome e delle donne di Bartolomeo e Filippo, e il medesimo dice: «Se non fosse che sono ancora molto fanciulle, e la madre è contraria a saperle per le vie, esse pure ti seguirebbero, Maestro».

«Mi segue l’anima loro. Ed è ugualmente santo amore. 2Filippo, ascoltami. La tua maggiore sta per essere promessa, non è vero?».

«Sì, Maestro. Un degno sponsale e un buono sposo. Non è vero, Bartolomeo?».

«È vero. Ne sono garante perché conosco la famiglia. Non ho potuto accettare di essere io chi propone l’affare, ma lo avrei fatto, se non fossi trattenuto presso il Maestro, con piena pace di creare una santa famiglia».

«Ma la fanciulla mi ha pregato di dirti di non farne nulla».

«Non le piace lo sposo? È in errore. Ma la gioventù è folle. Spero si persuaderà. Non c’è motivo di respingere un ottimo sposo. A meno che… No, non può essere!», dice Filippo.

«A meno che? Termina, Filippo», sprona Gesù.

«A meno che non ami un altro. Ma non è possibile! Non esce mai di casa e in casa vive molto ritirata. Non è possibile!».

«Filippo, ci sono amatori che penetrano anche nelle case più chiuse; che sanno parlare a quelle che amano nonostante tutte le barriere e le sorveglianze; quelli che abbattono ogni ostacolo di vedovanze, o di fanciullezze ben custodite, o… di altro ancora, e che prendono quelle che vogliono. E ci sono anche amatori che non possono essere rifiutati. Perché sono pre­potenti nel volere. Perché sono seducenti nel convincere ogni resistenza, fosse anche quella del demonio. Tua figlia ama uno di questi. E il più potente».

«Ma chi? Uno della corte di Erode?».

«Quella non è potenza!».

«Uno… uno della casa del Proconsole, un patrizio romano? Non lo permetterò a nessun costo. Il puro sangue d’Israele non avrà contatti col sangue impuro. A costo di uccidere mia figlia. 3Non sorridere, Maestro! Io soffro!».

«Perché sei come un cavallo imbizzarrito. Vedi ombre dove è solo luce. Ma sta’ quieto. Non è che un servo anche il Proconsole, e servi sono i suoi patrizi amici, e servo è Cesare».

«Ma Tu scherzi, Maestro! Mi hai voluto fare paura. Non c’è nessuno più grande di Cesare e più padrone di lui».

«Ci sono Io, Filippo».

«Tu? Tu vuoi sposare mia figlia?!».

«No. La sua anima. Sono Io l’amatore che penetra nelle case più chiuse e nei cuori ancor più serrati da sette e sette chiavi. Sono Io che so parlare nonostante tutte le barriere e sorveglianze. Sono Io che abbatto tutti gli ostacoli e prendo ciò che voglio prendere: puri e peccatori, vergini e vedovi, liberi da vizi e schiavi di essi. E a tutti do un’unica e nuova anima, rigenerata, beatificata, eternamente giovane. Gli sponsali miei. E nessuno può rifiutare di darmi le mie dolci prede. Non padre, non madre, non figli e neppure Satana. Sia che Io parli all’anima di una fanciulla come è la tua figlia, o di un peccatore immerso nel peccato e tenuto da Satana con sette catene, l’anima viene a Me. E nulla e nessuno me la strappa più. Né nessuna ricchezza, potenza, gioia del mondo, comunica la letizia perfetta che è di quelli che si coniugano con la mia povertà, con la mia mortificazione. Nudi di ogni povero bene, rivestiti di ogni celeste bene. Ilari della serenità di essere di Dio, solo di Dio… Essi sono i padroni della Terra e del Cielo. La prima perché la signoreggiano, il secondo perché lo conquistano».

«Ma nella nostra Legge ciò non è mai stato!», esclama Bartolomeo.

«Spogliati dell’uomo vecchio, Natanaele. Quando ti ho visto per la prima volta ti ho salutato dicendoti perfetto israelita senza frode. Ma ora tu sii di Cristo, non di Israele. Siilo senza frode e senza lacci. Rivestiti di questa nuova mentalità. Altrimenti non potrai capire tante bellezze della redenzione che Io sono venuto a portare alla Umanità tutta».

Filippo interviene dicendo: «E mia figlia dici che è stata chiamata da Te? E che farà ora? Io non te la contrasto di certo. Ma voglio sapere, anche per aiutarla, in che è la sua chiamata…».

«Nel portare i gigli di un amore verginale nel giardino di Cristo. Ce ne saranno tante nei secoli avvenire!… Tante!… Aiuole di incensi per controbilanciare le sentine dei vizi. Ani­me oranti per controbilanciare i bestemmiatori e gli atei. Aiuto a tutte le infelicità umane e gioia di Dio».

4Maria di Magdala apre le labbra per chiedere, e lo fa arrossendo ancora ma con più spigliatezza degli altri giorni: «E noi, le rovine che Tu edifichi, che diventiamo?».

«Quello che sono le sorelle vergini…».

«Oh! non può essere! Abbiamo calpestato troppo fango e… e… e non può essere».

«Maria, Maria! Gesù non perdona mai a metà. Ti ha detto che ti ha perdonato. E così è. Tu e tutti coloro che come te peccarono, e che il mio amore perdona e disposa, profumerete, pregherete, amerete, conforterete, rese conscie del male e atte a curarlo dove è, anime che per gli occhi di Dio sono martiri. Care perciò come le vergini».

«Martiri? In che, Maestro?».

«Contro voi stesse e i ricordi del passato e per sete di amore e di espiazione».

«Lo devo credere?…».

La Maddalena guarda tutti quelli che sono nella barca, chiedendo conferma alla sua speranza che si accende.

«Chiedilo a Simone. Parlai di te e di voi peccatori in genere, in una sera stellata, nel tuo giardino. E i tuoi fratelli tutti ti possono dire se la mia parola non ha cantato per tutti i redenti i prodigi della Misericordia e della conversione».

«Me ne ha parlato, con voce di angelo, anche il bambino. Sono tornata con l’anima rinfrescata da quella sua lezione. Mi ha fatto conoscere Te meglio ancora di mia sorella, tanto che oggi mi sentivo più forte per affrontare Magdala. Ora che Tu mi dici questo, io sento crescere la mia fortezza. Ho dato scandalo al mondo. Ma, te lo giuro, mio Signore, ora il mondo guardando me giungerà a comprendere cosa è il tuo potere».

Gesù le posa per un momento la mano sul capo, mentre Ma­ria Ss. le sorride come Lei sa fare: paradisiacamente.

5Ecco Magdala stesa al bordo del lago, con il sole sorgente di fronte, la montagna d’Arbela alle spalle che la protegge dai venti, e la stretta valle dirupata e selvaggia, da cui sbocca un torrentello nel lago, che si inoltra verso l’occidente con le sue coste a picco, piene di una bellezza fascinosa e severa.

«Maestro», grida Giovanni dall’altra barca, «ecco la valle del nostro ritiro…», e splende in volto come gli si fosse acceso un sole nell’interno.

«La nostra valle, sì. L’hai ben riconosciuta».

«Non si può non ricordare i luoghi dove si è conosciuto Id­dio», risponde Giovanni.

«Allora io ricorderò sempre questo lago. Perché su esso ti ho conosciuto. Lo sai, Marta, che qui ho visto il Maestro, una mattina?…».

«Sì, e per poco si va tutti a fondo, noi e voi. Donna, credi pure che i tuoi rematori non valevano uno spicciolo», dice Pietro che sta facendo la manovra di approdo.

«Non valevano nulla né i rematori né chi era con essi… Ma è sempre stato il primo incontro, e questo ha un grande valore. E poi ti ho visto sul monte, e poi a Magdala, e poi a Cafarnao… Tanti incontri, tante catene spezzate… Ma Cafarnao è stato il luogo più bello. Lì mi hai liberata…».

6Scendono a terra dove già sono scesi quelli dell’altra barca. Entrano in città.

La curiosità semplice o… non semplice dei magdaliti deve essere come una tortura per la Maddalena. Ma la sopporta eroicamente, seguendo il Maestro che è avanti, framezzo a tutti i suoi apostoli, mentre le tre donne sono dopo di loro. Il bisbiglio è forte. L’ironia non manca. Tutti quelli che, finché Maria era la signora prepotente di Magdala, la rispettavano in apparenza per tema di rappresaglie, ora che la vedono e la sanno staccata per sempre dai suoi amici potenti, umile e casta, si permettono di mostrarle anche disprezzo e lanciarle epiteti poco lusinghieri.

Marta, che soffre quanto lei di questo, le chiede: «Vuoi ritirarti in casa?».

«No. Non lascio il Maestro. E Lui, prima che la casa sia purificata da ogni traccia del passato, non lo invito là dentro».

«Ma tu soffri, sorella!».

«Me lo sono meritato».

E, soffrire, deve soffrire. Il sudore che le imperla la faccia, il rossore che la copre fin sul collo non sono solo dovuti al caldo.

Traversano tutta Magdala andando nei quartieri poveri, fino alla casa dove sostarono l’altra volta. La donna rimane di stucco quando, alzando il capo dal lavatoio per vedere chi la saluta, si trova di fronte Gesù e la ben nota signora di Magdala, non più pomposa, non più ingioiellata, ma con la testa velata da un lino leggero, vestita di viola pervinca, un abito accollato, stretto, certo non suo nonostante che si sia lavorato a farlo tale, fasciata in un mantello pesante che deve essere un supplizio con quel calore.

«Mi permetti di sostare nella tua casa e parlare di qui a chi mi segue?». Ossia a tutta Magdala, perché tutta la popolazione ha fatto coda al gruppo apostolico.

«E me lo chiedi, Signore? Ma la mia casa è tua». E si dà da fare a portare sedie e panche alle donne e agli apostoli.

Passando presso la Maddalena ha un inchino da schiava. «Pace a te, sorella», risponde questa. E la sorpresa della donna è tale che lascia cadere il panchetto che ha fra le mani. Ma non dice niente. L’atto però mi fa pensare che Maria trattasse i suoi sudditi piuttosto superbamente. E finisce di strabiliare, la donna, quando si sente chiedere come stanno i bambini, dove sono, e se la pesca ha dato buoni frutti.

«Bene stanno… Sono a scuola o dalla madre mia. Solo il piccolo dorme nella cuna… La pesca è buona. Mio marito ti porterà le decime…».

«Non occorre più. Usale per i tuoi bambini. Mi lasci vedere il pargolo?».

«Vieni»…

7La gente si è affollata sulla via.

Gesù inizia a parlare:

LA DRAMMA PERDUTA

«Una donna aveva dieci dramme nella sua borsa. Ma in un movimento la borsa le cadde dal seno, aprendosi, e le monete ruzzolarono per terra. Ella le raccolse con l’aiuto delle vicine presenti e le contò. Erano nove. La decima era introvabile. Dato che era prossima la sera e la luce mancava, la donna accese la lampada, la posò al suolo e presa una scopa si dette a scopare attentamente per vedere se era ruzzolata lontano dal luogo dove era caduta. Ma la dramma non si trovava. Le amiche se ne andarono stanche di ricerche. La donna spostò allora il cassapanco, la scansia, il cofano pesante, smosse le anfore e gli orcioli posati nella nicchia del muro. Ma la dramma non si trovava. Allora si pose carponi e cercò nel mucchio delle spazzature, messo contro la porta di casa, per vedere se la dramma era rotolata fuori di casa mescolandosi agli avanzi delle verdure. E trovò infine la dramma tutta sporca, sepolta quasi dalle spazzature ricadute su di essa.

La donna giubilante la prese, la lavò, l’asciugò. Era più bella di prima, ora. E la mostrò alle vicine che chiamò di nuovo a gran voce, e che si erano ritirate dopo averla aiutata nelle prime ricerche, dicendo: “Ecco! Vedete? Voi mi consigliavate di non faticare più. Ma io ho insistito e ho ritrovato la dramma perduta. Rallegratevi perciò con me che non ho avuto il dolore di perdere uno solo dei miei tesori”.

8Anche il Maestro vostro, e con Lui i suoi apostoli, fa come la donna della parabola. Egli sa che un movimento può far cadere un tesoro. Ogni anima è un tesoro e Satana, che è astioso di Dio, provoca i mal movimenti per fare cadere le povere anime. C’è chi nella caduta si ferma presso la borsa, ossia va poco lontano dalla Legge di Dio che raccoglie le anime nella salvaguardia dei comandamenti. È c’è chi va più lontano, ossia si allontana più ancora da Dio e dalla sua Legge. C’è infine chi rotola fino nelle spazzature, nelle lordure, nel fango. E là finirebbe a perire con l’essere arso nei fuochi eterni, così come le immondezze vengono arse in luoghi acconci.

Il Maestro lo sa e cerca instancabile le monete perdute. Le cerca in ogni luogo, con amore. Sono i suoi tesori. E non si stanca e non si ripugna di nulla. Ma fruga, fruga, smuove, spazza, finché trova. E trovato che abbia, lava l’anima ritrovata col suo perdono e chiama gli amici, tutto il Paradiso e tutti i buoni della Terra, e dice: “Rallegratevi con Me perché ho trovato ciò che si era smarrito, ed è più bello di prima perché il mio perdono lo fa nuovo”.

In verità vi dico che si fa molta festa in Cielo e giubilano gli angeli di Dio e i buoni della Terra per un peccatore che si converte. In verità vi dico che non c’è cosa più bella delle lacrime del pentimento. In verità vi dico che solo i demoni non sanno, non possono giubilare per questa conversione che è un trionfo di Dio. E anche vi dico che il modo come un uomo accoglie la conversione di un peccatore è misura della sua bontà e della sua unione con Dio.

La pace sia con voi».

La gente capisce la lezione e guarda la Maddalena, venuta a sedersi sulla porta con il poppante fra le braccia, forse per darsi un contegno, e sfolla lentamente rimanendo solo la padrona della casetta e la madre sua sopraggiunta coi bambini. Manca Beniamino, ancora a scuola.

Maria Valtorta: L’Evangelo come mi è stato rivelato. [205.1-7], ed.  CEV

1«Giovanni di Endor, vieni qui con Me. Ti devo parlare», dice Gesù affacciandosi sull’uscio.

L’uomo accorre lasciando il bambino al quale insegnava qualcosa. «Che mi vuoi dire, Maestro?», chiede.

«Vieni con Me qui sopra».

Salgono sulla terrazza e si siedono dalla parte più riparata perché, per quanto sia mattina, il sole è già forte. Gesù gira lo sguardo sulla campagna coltivata, in cui i grani di giorno in giorno divengono d’oro e gli alberi gonfiano le loro frutta. Pare volere attingere il pensiero da quella metamorfosi vegetale.

«Senti, Giovanni. Oggi Io credo che verrà Isacco per condurmi i contadini di Giocana prima della loro partenza. Ho detto a Lazzaro di prestare a Isacco un carro per fare loro accelerare il ritorno senza tema di giungere con un ritardo che provocherebbe loro un castigo. E Lazzaro lo fa. Perché Lazzaro fa tutto ciò che Io dico. Ma da te Io voglio un’altra cosa. Ho qui una somma che mi è stata data da una creatura per i poveri del Signore. Generalmente è un mio apostolo l’incaricato di tenere le monete e di dare gli oboli. È Giuda di Keriot generalmente; qualche volta gli altri. Giuda non è presente. Gli altri non voglio siano a cognizione di quel che voglio fare. Anche Giuda questa volta non lo sarebbe. Lo farai tu, in mio nome…».

«Io, Signore?… Io?.., Oh! non ne sono degno!…».

«Ti devi abituare a lavorare in mio nome. Non sei venuto per questo?».

«Sì. Ma pensavo dovere lavorare a ricostruire la povera anima mia».

«E Io te ne do il mezzo. In che hai peccato? Contro la misericordia e l’amore. Con l’odio hai demolito la tua anima. Con l’amore e la misericordia la ricostruirai. Io te ne do il materiale. Ti adibirò particolarmente alle opere di misericordia e di amore. Tu sei anche capace di curare, tu sei capace di parlare. Per questo sei atto ad avere cura delle infelicità fisiche e morali, e hai capacità di farlo. Inizierai con quest’opera. Tieni la borsa. La darai a Michea e ai suoi amici. Fanne parti uguali. Ma falle così come Io dico. La dividi per dieci, poi ne dai quattro parti a Michea: una per sé, una per Saulo, una per Gioele e una per Isaia. E le altre sei le dai a Michea perché le dia al vecchio padre di Jabé, per sé e per i suoi compagni. Potranno così avere qualche conforto».

«Va bene. Ma che dico loro per giustificare?».

«Dirai: “Questo è perché vi ricordiate di pregare per un’ani­ma che si redime”».

«Ma potranno pensare che sia io! Non è giusto!».

«Perché? Non ti vuoi redimere?».

«Non è giusto che pensino che sia io il donatore».

«Lascia, e fa’ come Io dico».

«Ubbidisco… ma almeno concedimi di mettere anche io qualche cosa. Tanto… ora non mi occorre più nulla. Libri non ne compero più, polli da nutrire non ne ho più. A me basta tanto poco… Tieni, Maestro. Serbo solo un minimo per le spese dei sandali…», ed estrae da una borsa che aveva in cintura molte monete e le aggiunge alle monete di Gesù.

«Dio ti benedica per la tua misericordia… 2Giovanni, fra poco ci lasceremo perché tu andrai con Isacco».

«Me ne duole, Maestro. Ma ubbidisco».

«Anche a Me duole di allontanarti. Ma ho tanto bisogno di discepoli peregrinanti. Io non basto più. Presto lancerò gli apostoli, poi manderò i discepoli. E tu farai molto bene. Ti serberò a speciali missioni. Intanto con Isacco ti formerai. È tanto buono e lo Spirito di Dio lo ha veramente istruito durante la lunga malattia. Ed è l’uomo che tutto ha sempre perdonato… Lasciarci, del resto, non vuole dire non vederci più. Ci incontreremo sovente, e ogni volta che ci ritroveremo parlerò proprio per te, ricordatelo…».

Giovanni si piega su se stesso, si nasconde il volto fra le mani con un aspro scoppio di pianto, e geme: «Oh! allora dimmi subito qualche cosa che mi persuada che io sono perdonato… che io posso servire Dio… Se sapessi, ora che è caduto il fumo dell’odio, come vedo la mia anima… e come… e come penso a Dio…».

«Lo so, non piangere. Resta nell’umiltà, ma non ti avvilire. L’avvilimento è ancora superbia. Solo, solo umiltà abbi. Suvvia, non piangere…».

Giovanni di Endor si calma poco a poco…

Quando lo vede calmato, Gesù dice: «Vieni, andiamo sotto quel folto di meli e raduniamo i compagni e le donne. Parlerò a tutti, ma ti dirò come Dio ti ama».

Scendono, radunandosi intorno gli altri man mano che vanno, e si siedono poi a cerchio sotto l’ombra del pometo. Anche Lazzaro, che parlava con lo Zelote, si aggiunge alla compagnia. Venti persone in tutto.

3«Udite. È una bella parabola che vi guiderà con la sua luce in tanti casi.

IL FIGLIOL PRODIGO

Un uomo aveva due figli. Il maggiore era serio, lavoratore, affezionato, ubbidiente. Il secondo era intelligente più del maggiore – che in verità era un poco ottuso e si lasciava guidare per non avere da affaticarsi a decidere da sé – ma in compenso era anche ribelle, svagato, amante del lusso e del piacere, dissipatore e ozioso. L’intelligenza è un grande dono di Dio. Ma è un dono che va usato saggiamente. Altrimenti è come certi farmaci i quali, usati in mal modo, non sanano ma uccidono. Il padre – era nel suo diritto e nel suo dovere – lo richiamava a vita più saggia. Ma senza alcun utile, tolto quello di averne male risposte e un maggior irrigidimento del figlio nelle proprie cattive idee.

Infine un giorno, dopo una disputa più fiera, il figlio minore disse: “Dammi la mia parte dei beni. Così non sentirò più i tuoi rimproveri e i lagni del fratello. Ognuno il suo e sia finito tutto”. “Guarda” rispose il padre “che presto sarai rovinato. Che farai allora? Pensa che io non sarò ingiusto in favore di te e non riprenderò un picciolo a tuo fratello per darlo a te”. “Non ti chiederò nulla. Sta sicuro. Dammi la mia parte”.

Il padre fece stimare le terre e le cose preziose e, visto che denaro e gioielli facevano tanto quanto le terre, dette al maggiore i campi e i vigneti, le mandre e gli ulivi, e al minore il denaro e i gioielli, che il giovane vendette subito mutando tutto in denaro. E fatto questo, in pochi giorni, se ne andò in lontano paese dove visse da gran signore, scialacquando tutto il suo in bagordi di ogni specie, facendosi credere un figlio di re perché si vergognava di dire: “sono campagnolo”, rinnegando perciò il padre suo. Festini, amici e amiche, vesti, vini, giuoco… vita dissoluta… Presto vide scemare la sostanza e venire avanti la miseria. E con la miseria, a farla più grave, venne nel paese una grande carestia che dette fondo ai resti della sostanza.

4Avrebbe potuto andare dal padre. Ma era superbo e non volle. Andò allora da un riccone del paese, già suo amico nei tempi buoni, e lo pregò dicendo: “Accoglimi fra i tuoi servi in ricordo di quando godesti delle mie dovizie”. Vedete voi come è stolto l’uomo! Preferisce mettersi sotto la frusta di un padrone anziché dire ad un padre: “Perdono! Ho sbagliato!”. Quel giovane aveva imparato tante cose inutili con la sua intelligenza aperta, ma non aveva voluto imparare il detto dell’Ecclesiastico: “Quanto è infame colui che abbandona il padre suo e quanto è maledetto da Dio chi fa inquietare la madre”. Era intelligente ma non sapiente.

L’uomo a cui si era rivolto, in cambio del molto che aveva goduto dal giovane stolto, mise questo stolto di guardia ai porci – perché si era in paese pagano e vi erano molti porci – e lo mandò a pasturare nei suoi possessi le mandre di porci. Lurido, stracciato, puzzolente, affamato – perché il cibo era scarso per tutti i servi e specie per gli infimi, e lui, straniero mandriano di porci e deriso, era ritenuto tale – vedeva i porci satollarsi delle ghiande e sospirava: “Potessi almeno io pure empirmi il ventre di questi frutti! Ma sono troppo amari! Neppure la fame me li fa parere buoni”. E piangeva pensando ai ricchi festini da satrapo fatti poco tempo prima fra risa, canti, danze… e pensava poi agli onesti pranzi ben nutriti della sua casa lontana, alle porzioni che il padre faceva a tutti imparzialmente, serbando per se sempre il meno, lieto di vedere il sano appetito dei suoi figli… e pensava anche alle parti fatte ai servi da quel giusto, e sospirava: “I garzoni di mio padre, anche i più infimi, hanno pane in abbondanza… e io qui muoio di fame…”. Un lungo lavoro di riflessione, una lunga lotta per strozzare la superbia…

5Infine venne il giorno che, rinato nell’umiltà e nella sapienza, sorse in piedi e disse: “Io vado dal padre mio! È stolto questo orgoglio che mi fa prigione. E di che? Perché soffrire e nel corpo e più nel cuore mentre posso avere perdono e sollievo? Vado dal padre mio. È detto. Che gli dirò? Ma quello che è nato qui dentro, in questa abbiezione, fra queste lordure, fra i morsi della fame! Gli dirò: “Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te, non sono più degno di essere chiamato tuo figlio; trattami perciò come l’infimo dei tuoi garzoni, ma sopportami sotto il tuo tetto. Che io ti veda passare…”. Non potrò dirgli: “…perché ti amo”. Non lo crederebbe. Ma lo dirà la mia vita, ed egli lo comprenderà, e prima di morire mi benedirà ancora… Oh! lo spero. Perché mio padre mi ama”. E, tornato la sera in paese, si licenziò dal padrone, e mendicando per via tornò a casa sua.

Ecco i campi paterni… e la casa… e il padre che dirigeva i lavori, invecchiato, scarnito dal dolore, ma sempre buono…Il colpevole, guardando quella rovina causata da lui, si fermò intimorito… ma il padre, girando l’occhio, lo vide e gli corse incontro, perché era ancora lontano, e raggiuntolo gli gettò le braccia al collo e lo baciò. Solo il padre aveva riconosciuto in quel mendicante avvilito la sua creatura e solo lui aveva avuto un movimento di amore. Il figlio, stretto fra quelle braccia, con il capo sulla spalla paterna, mormorò fra i singhiozzi: “Padre, lascia che io mi getti ai tuoi piedi”. “No, figlio mio! Non ai piedi. Sul mio cuore, che ha tanto sofferto della tua assenza e che ha bisogno di rivivere col sentire il tuo calore sul mio petto”. E il figlio, piangendo più forte, disse: “Oh! padre mio! Io ho peccato contro il Cielo e contro di te, non sono più degno di essere chiamato da te: figlio. Ma permettimi di vivere fra i tuoi servi, sotto il tuo tetto, vedendoti, mangiando il tuo pane, servendoti, bevendo il tuo alito. Ad ogni boccone di pane, ad ogni tuo respiro si riformerà il mio cuore tanto corrotto e diverrò onesto…”. Ma il padre, tenendolo sempre abbracciato, lo condusse verso i servi, che si erano ammucchiati in distanza e che osservavano, e disse loro: “Presto, portate qui la veste più bella e catini di acque odorose, lavatelo, profumatelo, rivestitelo, mettetegli dei calzari nuovi e un anello al dito. Poi prendete un vitello ingrassato e ammazzatelo. E si prepari un banchetto. Perché questo figlio mio era morto ed ora è risuscitato, era perduto ed è stato ritrovato. Io voglio che ora lui pure ritrovi il suo semplice amore di pargolo; e il mio amore e la festa della casa per il suo ritorno glielo devono dare. Deve capire che egli è sempre per me il caro bambino ultimo nato, quale era nella infanzia sua lontana, quando mi camminava al fianco facendomi beato col suo sorriso e il suo balbettio”. E così fecero i servi.

6Il figlio maggiore era in campagna e non seppe nulla fino al suo ritorno. A sera, venendo verso casa, la vide luminosa di lumi e udì suoni di strumenti e danze uscire da essa. Chiamò un servo che correva indaffarato e gli disse: “Che avviene?”. E il servo rispose: “È tornato tuo fratello! Tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso perché ha riavuto il figlio e sano, guarito dal suo grande male, ed ha ordinato banchetto. Non si attende che te per cominciare”. Ma il primogenito, in collera perché gli pareva ingiustizia tanta festa per il minore, che oltre che minore era stato cattivo, non volle entrare e anzi fece per allontanarsi da casa.

Ma il padre, avvertito di questo, corse fuori e lo raggiunse tentando di convincerlo e pregandolo di non amareggiargli la sua gioia. Il primogenito rispose al padre suo: “E vuoi che io non sia inquieto? Tu fai ingiustizia e spregio al tuo primogenito. Io da quando ho potuto lavorare ti ho servito, e sono molti anni. Io non ho mai trasgredito ad un tuo comando, neppure ad un tuo desiderio. Io ti sono sempre stato vicino e ti ho amato per due per farti guarire dalla piaga fatta da mio fratello. E tu non mi hai dato neppure un capretto per godermelo cogli amici. Questo, che ti ha offeso, che ti ha abbandonato, che è stato infingardo e dissipatore e che torna ora perché è spinto dalla fame, tu lo onori e per lui ammazzi il vitello più bello. Vale la pena essere lavoratori e senza vizi! Questo non me lo dovevi fare!”.

Il padre disse allora stringendoselo al seno: “Oh! figlio mio! E puoi credere che io non ti ami perché non stendo un velo di festa sulle tue azioni? Le tue azioni sono sante di loro, e il mondo ti loda per esse. Ma questo tuo fratello, invece, ha bisogno di essere rialzato nella stima del mondo e nella stima sua stessa. E credi tu che io non ti ami perché non ti do un premio visibile? Ma mattina e sera e in ogni mio alito e pensiero tu sei presente al mio cuore, e ad ogni attimo io ti benedico. Tu hai il premio continuo di essere sempre con me, e tutto quanto è mio è tuo. Ma era giusto banchettare e fare festa per questo tuo fratello, che era morto ed è risuscitato al Bene, che era perduto ed è stato ritornato al nostro amore”. E il primogenito si arrese. (G Ecco la finale che nessun commentatore dice perché Luca non la rivela… forse perché chi gliel’ha raccontata s’è dimenticato di fargliela sapere! Ma ora noi la veniamo a conoscere e questo cambia molte cose.) 

7Così, amici miei, succede nella Casa del Padre. E chi si sa uguale al figlio minore della parabola pensi pure che, se lo imita nell’andare al Padre, il Padre gli dice: “Non ai miei piedi. Ma sul mio cuore, che ha sofferto della tua assenza e che ora è beato per il tuo ritorno”. Chi è in condizioni di figlio primogenito e senza colpa verso il Padre, non sia geloso della gioia paterna, ma ne prenda parte, dando amore al fratello redento».