12 SETTEMBRE –  IL SANTISSIMO NOME DI MARIA (memoria facoltativa)

 

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A cura di Giovanna Busolini

(Le introduzioni al capitolo, il grassetto e le spiegazioni all’interno del testo sono i miei. Immagini tratte dal WEB.)

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Carissimi tutti,

il 12 settembre  si festeggia (anche se è memoria facoltativa) il Nome SS. di Maria e allora quale atto d’amore più bello per Lei che andare a leggere come Le venne messo questo nome e perché?

Dai Vangeli canonici e dalla tradizione poco sappiamo di Maria, ma tantissimo ci ha rivelato di Lei Gesù nostro attraverso il “piccolo Giovanni”.[1]


G)) Anna è ormai quasi cinquantenne e ancora nessuna creatura è arrivata ad allietare la sua vita di donna giusta e santa, ma lei non smette mai di sperare nonostante tutto, perché lei crede che se Dio vuole è ancora possibile avere un figlio. Lei sa dalla lettura della Parola di Dio che altre donne sterili (prima di lei) hanno poi dato, anche in tarda età, alla luce un figlio e questi fatti glieli ricorda il suo amato e santo sposo, Gioacchino.

[…] «Ancora occorre sperare. Tutto può Dio. Finché si è vivi, il miracolo può avvenire, specie quando lo si ama e ci si ama».

Gioacchino calca molto sulle ultime parole. Ma Anna tace, avvilita, e sta a capo chino per non mostrare due lacrime che scendono e che vede solo il piccolo Alfeo, il quale, stupito e addolorato che la sua grande amica pianga come fa lui qualche volta, alza la manina e asciuga quel pianto.

«Non piangere, Anna! Siamo felici lo stesso. Io, almeno, lo sono perché ho te».

«Anche io per te. Ma non ti ho dato un figlio… Penso aver spiaciuto al Signore, poiché mi ha inaridito le viscere… ».

«O moglie mia! In che vuoi avergli spiaciuto tu, santa? Senti. Andiamo ancora una volta al Tempio. Per questo. Non solo per i Tabernacoli. Facciamo lunga preghiera… Forse ti avverrà come a Sara… come ad Anna di Elcana. Molto attesero e si credevano riprovate perché sterili. Invece per loro, nei cieli di Dio, si maturava un figlio santo!».

(( G I due sposi hanno anche fatto un voto.))

«Si. Facciamo voto al Signore. Suo sarà il nato. Purché ce lo conceda… Oh! sentirmi chiamare “mamma”!».

G)) E Anna non smette di implorare il Signore durante la festa dei Tabernacoli a Gerusalemme.  È l’ultima notte, il giorno successivo, dopo l’ultima preghiera al Tempio si dovrà ritornare a Nazareth, ma Anna fa un sogno.

«Questa notte ho sognato che il prossimo anno io verrò alla Città Santa per due feste invece che per una sola. E una sarà l’offerta al Tempio della mia creatura… Oh! Gioacchino!… ».

«Spera, spera, Anna. Altro non hai sentito? Il Signore nulla ti ha mormorato al cuore?»

«Nulla. Un sogno soltanto…».

«Domani è l’ultimo giorno di preghiera. Già tutte le offerte sono state fatte. Ma le rinnoveremo domani ancora, solennemente. Vinceremo Dio col nostro fedele amore. Io penso sempre che ti abbia ad accadere come ad Anna d’Elcana».

«Lo voglia Dio… e avessi subito chi mi dice: “Va’ in pace. Il Dio d’Israele ti ha concesso la grazia che chiedi!”».

«Se la grazia verrà, il tuo bambino te lo dirà rivoltandosi  per la prima volta nel tuo seno, e sarà voce di innocente, perciò voce di Dio».

((G E così avvenne: nel mese di Casleu, durante la festa delle Luci, quella stessa festa che anni dopo vedrà il natale di Gesù, Anna si rende conto che veramente una creaturina è stata concepita nel suo grembo. Ma tale sarà la sua paura di sbagliarsi da non dire nulla al suo sposo. Solo nel mese di Nisam, in primavera, quando sarà veramente certa, attraverso un canto, Anna farà sapere a Gioacchino la sua grande gioia. Ma per questo indimenticabile momento vi lascio alla lettura dell’intero capitolo. )) 

Maria Valtorta, L’Evangelo come mi è stato rivelato, cap. 4. Anna con un cantico annunzia di esser madre. Nel suo seno è l’anima immacolata di Maria

Poema: I, 5

24 agosto 1944.

Rivedo la casa di Gioacchino ed Anna. Nulla è mutato nell’interno, se si toglie i molti rami fioriti, messi in anfore qua e là, certo frutto delle potature fatte sugli alberi dell’orto che sono tutti in fiore: una nuvola che svaria dal bianco neve al rosso di certi coralli. Anche il lavoro di Anna è diverso. Su un telaio più piccolo dell’altro ella tesse delle belle tele di lino, e canta, ritmando il moto del piede sul canto. Canta e sorride…

A chi? A se stessa, a qualche cosa che ella vede nel suo interno. Il canto, lento e pur lieto – che ho scritto a parte per seguirlo, perché lo ripete più volte come beandosi di esso, e lo dice sempre più forte e sicuro, come chi ha ritrovato un ritmo nel suo cuore e prima lo mormora in sordina e poi, sicuro, va più spedito e alto di tono – dice (e lo trascrivo perché, nella sua semplicità, è tanto dolce):

«Gloria al Signore onnipotente che dei figli di Davide ebbe amore. Gloria al Signore!

La sua suprema grazia dal Ciel m’ha visitata.

La vecchia pianta ha messo nuovo ramo, ed io son beata.

Per la festa delle Luci gettò seme la speranza;

or di nisam la fragranza lo vede germogliar.

Come il mandorlo si infiora la mia carne a primavera.

Il suo frutto, sulla sera, essa sente di portar.

Su quel ramo sta una rosa, sta un pomo dei più dolci.

Sta una stella rilucente, sta un pargolo innocente.

Sta la gioia della casa, dello sposo e della sposa.

Lode a Dio, al mio Signore, che pietà ebbe di me.

Me lo disse la sua luce: “Una stella a te verrà”.

Gloria, gloria! Tuo sarà questo frutto della pianta,

primo e estremo, santo e puro come dono del Signor.

Tuo sarà, e per lui venga gioia e pace sulla terra.

Vola, o spola. Il filo serra per la tela dell’infante.

Egli nasce! A Dio osannante vada il canto del mio cuor».

Entra Gioacchino quando ella sta per ripetere per la quarta volta il suo canto.

«Sei felice, Anna? Mi sembri un uccello che faccia primavera. Che canto è mai questo? Non l’ho mai udito da nessuno. Da dove ci viene?».

«Dal mio cuore, Gioacchino».

Anna si è alzata ed ora si dirige verso lo sposo, tutta ridente. Pare più giovane e più bella.

«Non ti sapevo poeta» dice il marito, guardandola con palese ammirazione. Non sembrano due sposi attempati. Nei loro sguardi è una tenerezza da giovani sposi.

«Sono venuto dal fondo dell’orto udendoti cantare. Erano anni che non sentivo la tua voce di tortora innamorata. Vuoi ripetermi quel canto?».

«Te lo ripeterei anche se tu non lo chiedessi. I figli di Israele hanno sempre affidato al canto i gridi più veri delle loro speranze, e gioie, e dolori. Io ho affidato al canto la cura di dirmi e di dirti una grande gioia. Sì, anche di dirmela, perché è cosa così grande che, per quanto ne sia certa, ormai, mi sembra ancora non vera…» e ricomincia il canto, ma arrivata al punto: «su quel ramo sta una rosa, sta un pomo dei più dolci, sta una stella…» la sua ben tonata voce di contralto si fa prima tremula e poi si spezza, e con un singhiozzo di gioia ella guarda Gioacchino e, alzando le braccia, grida: «Sono madre, mio diletto!» e gli si rifugia sul cuore, fra le braccia che egli ha tese e che ora ha rinserrate intorno alla sua sposa felice. Il più casto e felice abbraccio che io abbia visto da quando sono al mondo. Casto e ardente nella sua castità.  Il dolce rimprovero fra i capelli bianco-neri di Anna: «E non me lo dicevi?».

«Perché volevo esserne certa. Vecchia come sono… sapermi madre… Non lo potevo credere vero… e non volevo darti una delusione più amara di tutte. E’ dalla fine del dicembre che io sento farsi nuove le mie viscere profonde e mettere, come dico, un nuovo ramo. Ma ora su quel ramo è sicuro il frutto… Vedi? Quella tela è già per quello che verrà».

«Non è il lino che hai comperato a Gerusalemme in ottobre?».

«Sì. L’ho poi filato mentre attendevo… e speravo. Speravo perché l’ultimo giorno, mentre pregavo nel Tempio, il più possibile che sia per una donna presso la Casa di Dio, ed era già sera… ricordi che dicevo: “Ancora, ancora un poco”. Non sapevo staccarmi di là senza aver avuto grazia! Ebbene, nell’ombra che già scendeva, dall’interno del luogo sacro, che io guardavo con attrazione d’anima per strappare un assenso dal Dio presente, ho visto partire una luce, una scintilla di luce bellissima. Era candida come luna, eppure aveva in sé tutte le luci di tutte le perle e gemme che sono sulla terra. Pareva che una delle stelle preziose del Velo, le stelle poste sotto ai piedi dei cherubini, si staccasse e divenisse splendida di una luce soprannaturale… pareva che da oltre il Velo sacro, dalla Gloria stessa, partisse un fuoco e venisse a me veloce, e nel tagliare l’aria cantasse con voce celeste dicendo: “Ciò che hai chiesto ti venga”. E’ per quello che io canto: “Una stella a te verrà”. Che figlio sarà mai il nostro, che si manifesta come luce di stella nel Tempio e che dice: “Io sono” nella festa delle Luci? Che tu abbia visto giusto pensandomi una nuova Anna d’Elcana? Come la chiameremo la creatura nostra, che dolce come canto d’acque sento parlarmi in seno col suo piccolo cuore che batte e batte come quello di una tortorina presa fra il cavo delle mani?».

«Se sarà maschio, la chiameremo Samuele. Se femmina, Stella. La parola che ha fermato il tuo canto per darmi questa gioia di sapermi padre. La forma che ha preso per manifestarsi fra la sacra ombra del Tempio».

«Stella. La nostra stella, perché, non so, penso, penso sia una bambina. Mi pare che carezze così dolci non possano venire che da una dolcissima figlia. Perché io non la porto, non ne ho sofferenza. E’ lei che porta me su un sentiero azzurro e fiorito, come se io fossi sorretta da angeli santi e la terra fosse già lontana… Ho sempre sentito dalle donne dire che il concepire e il portare è dolore. Ma io non ho dolore. Mi sento forte, giovane, fresca più di quando ti donai la mia verginità nella giovinezza lontana. Figlia di Dio – poiché è di Dio più che nostra questa che nasce da un tronco inaridito – alla sua mamma non dà pena. Ma solo le porta pace e benedizione: i frutti di Dio, suo vero Padre».

«Maria allora la chiameremo. Stella del nostro mare, perla, felicità. Il nome della prima grande donna d’Israele. (( G Maria, sorella di Mosé ed Aronne)) Ma questa non peccherà mai contro il Signore ((G Maria, sorella di Mosé ed Aronne, invidiò il fratello e divenne la prima lebbrosa della storia d’Israele.)), e a Lui solo darà il suo canto perché a Lui è offerta, ostia prima di nascere».

«A Lui è offerta, sì. Maschio o femmina che sia, dopo aver giubilato per tre anni sulla nostra creatura noi la daremo al Signore. Ostie noi pure con essa, per la gloria di Dio».

Non vedo né odo altro.

 


[1] Cfr. Maria Valtorta, L’Evangelo come mi è stato rivelato, 2. Gioacchino e Anna fanno voto al Signore. (Poema: I, 2 ) – 22 agosto 1944, ed. CEV.