XX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B ) – Giovanni 6,51-58.

 

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a cura di Giovanna Busolini

(Sottolineature e grassetti sono i miei. Immagini tratte dal WEB)

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Libro de Proverbi 9,1-6. 

La Sapienza si è costruita la casa, ha intagliato le sue sette colonne.
Ha ucciso gli animali, ha preparato il vino e ha imbandito la tavola.
Ha mandato le sue ancelle a proclamare sui punti più alti della città:
Chi è inesperto accorra qui!. A chi è privo di senno essa dice:
Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato.
Abbandonate la stoltezza e vivrete, andate diritti per la via dell’intelligenza”.

Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini 5,15-20. 

Vigilate dunque attentamente sulla vostra condotta, comportandovi non da stolti, ma da uomini saggi; profittando del tempo presente, perché i giorni sono cattivi.
Non siate perciò inconsiderati, ma sappiate comprendere la volontà di Dio.
E non ubriacatevi di vino, il quale porta alla sfrenatezza, ma siate ricolmi dello Spirito, intrattenendovi a vicenda con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore, rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo.

Salmo Responsoriale
Dal Salmo 33 (34)

R. Gustate e vedete com’è buono il Signore.

Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino. R.
 
Temete il Signore, suoi santi:
nulla manca a coloro che lo temono.
I leoni sono miseri e affamati,
ma a chi cerca il Signore non manca alcun bene. R.
 
Venite, figli, ascoltatemi:
vi insegnerò il timore del Signore.
Chi è l’uomo che desidera la vita
e ama i giorni in cui vedere il bene? R.
 
Custodisci la lingua dal male,
le labbra da parole di menzogna.
Sta’ lontano dal male e fa’ il bene,
cerca e persegui la pace. R.

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 6,51-58. 

In quel tempo, Gesù disse alla folla dei Giudei: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Gesù disse: «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno.
Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui.
Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me.
Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

Carissimi tutti,

Il Vangelo canonico di domenica ci propone ora i versetti dal 51 al 58 del cap. 6 di Giovanni, sul Pane di Vita.

I testi valtortiani sono già stati passati e quindi, come promesso, vi riporto allora una bellissima visione di Gesù che insegna ai Suoi Apostoli (ma Giuda non era presente!) il Padre Nostro, dalla quale capiremo anche bene che cosa chiediamo al Padre ogni giorno…

Maria Valtorta, L’Evangelo come mi è stato rivelato,203. La preghiera del “Padre nostro”, ed. CEV.

28 giugno 1945.

[…] «Sostiamo… Miei cari, cari tanto, di­scepoli miei e miei continuatori in futuro, venite a Me vicino. Un giorno, e non uno solo, voi mi avete detto: “Insegnaci a pregare come Tu preghi. Insegnaci come Giovanni lo insegnò ai suoi, acciò noi discepoli si possa pregare con le stesse paro­le del Maestro”. Ed Io vi ho sempre risposto: “Vi farò questo quando vedrò in voi un minimo di preparazione sufficiente, ac­ciò la preghiera non sia formula vana di parole umane, ma vera conversazione col Padre”. A questo siamo giunti. Voi siete possessori di quanto basta per poter conoscere le parole degne di essere dette a Dio. E ve le voglio insegnare questa sera, nella pace e nell’amore che è fra noi, nella pace e nell’amore di Dio e con Dio, perché noi abbiamo ubbidito al precetto pasquale, da veri israeliti, e al comando divino sulla carità verso Dio e verso il prossimo.

Uno fra voi ha molto sofferto in questi giorni. Sofferto per un atto immeritato, e sofferto per lo sforzo fatto su se stesso per contenere lo sdegno che quell’atto aveva eccitato. Sì, Simone di Giona, vieni qui. Non c’è stato un fre­mito del tuo cuore onesto che mi sia stato ignoto, e non c’è stata pena che Io non abbia condivisa con te. Io e i tuoi compa­gni… ».

«Ma Tu, Signore, sei stato ben più offeso di me! E questa era per me una sofferenza più… più grande, no, più sensibi­le… neppure… più… più… Ecco: che Giuda abbia avuto schifo di partecipare alla mia festa mi ha fatto male come uomo. Ma di vedere che Tu eri addolorato e offeso mi ha fatto male in un altro modo e ne ho sofferto il doppio… Io… non mi voglio vantare e fare bello usando le tue parole… Ma devo dire, e se faccio superbia dimmelo Tu, devo dire che ho sofferto con la mia anima… e fa più male».

«Non è superbia, Simone. Hai sofferto spiritualmente per­ché Simone di Giona, pescatore di Galilea, si sta mutando in Pietro di Gesù, Maestro dello spirito, per cui anche i suoi di­scepoli divengono attivi e sapienti nello spirito. E per questo tuo progredire nella vita dello spirito, è per questo vostro pro­gredire che Io vi voglio questa sera insegnare l’orazione. Quan­to siete mutati dalla sosta solitaria in poi! »

«Tutti, Signore? » chiede Bartolomeo un poco incredulo.

«Comprendo ciò che vuoi dire… Ma Io parlo a voi undici. Non ad altri… »

«Ma che ha Giuda di Simone, Maestro? Noi non lo com­prendiamo più… Pareva tanto cambiato, e ora, da quando ab­biamo lasciato il lago… » dice desolato Andrea.

«Taci, fratello. La chiave del mistero ce l’ho io! Ci si è at­taccato un pezzettino di Belzebù. E’ andato a cercarlo nella ca­verna di Endor per stupire e… e è stato servito! Il Maestro lo ha detto quel giorno… A Gamala i diavoli sono entrati nei porci. A Endor i diavoli, usciti da quel disgraziato di Giovanni, sono entrati in lui… Si capisce che… si capisce… Lasciamelo dire, Maestro! Tanto è qui, in gola, e se non lo dico non esce, e mi ci avveleno…».

«Simone, sii buono!».

«Sì, Maestro… e ti assicuro che non farò sgarbi a lui. Ma dico e penso che essendo Giuda un vizioso – tutti lo abbiamo capito – è un poco affine al porco… e si capisce che i demoni scelgono volentieri i porci per i loro… cambi di dimora. Ecco, l’ho detto».

«Tu dici che è così?» chiede Giacomo di Zebedeo.

«E che vuoi che altro sia? Non c’è stata nessuna ragione per diventare così intrattabile. Peggio che all’Acqua Specio­sa! E là potevo pensare che era il luogo e la stagione che lo innervosivano. Ma ora…».

«C’è un’altra ragione, Simone…»

«Dilla, Maestro. Sono contento di ricredermi sul compa­gno».

«Giuda è geloso. È inquieto per gelosia».

«Geloso? Di chi? Non ha moglie e, anche l’avesse, e fosse con le donne, io credo che nessuno di noi userebbe spregio al condiscepolo…».

«E’ geloso di Me. Considera: Giuda si è alterato dopo En­dor e dopo Esdrelon. Ossia quando ha visto che Io mi sono oc­cupato di Giovanni e di Jabé. Ma ora che Giovanni, soprattut­to Giovanni, verrà allontanato passando da Me a Isacco, ve­drai che torna allegro e buono ».

«E… bene! Non mi vorrai però dire che non è preso da un demonietto. E soprattutto… No, lo dico! E soprattutto non mi vorrai dire che si è migliorato in questi mesi. Ero geloso an­che io l’anno scorso… Non avrei voluto nessuno più di noi sei, i primi sei, lo ricordi? Ora, ora… lasciami invocare Dio una volta tanto a testimonio del mio pensiero. Ora dico che sono felice più aumentano i discepoli intorno a Te. Oh! vorrei ave­re tutti gli uomini e portarli a Te e tutti i mezzi per poter sov­venire chi ne ha bisogno, perché la miseria non sia a nessuno di ostacolo per venire a Te. Dio vede se dico il vero. Ma perché sono così ora? Perché mi sono lasciato cambiare da Te. Lui… non è cambiato. Anzi… Va’ là, Maestro… Un demonietto lo ha preso…».

«Non lo dire. Non lo pensare. Prega perché guarisca. La gelosia è una malattia…».

«Che al tuo fianco guarisce se uno lo vuole. Ah! lo soppor­terò, per Te… Ma che fatica!…».

«Ti ho dato il premio per essa: il bambino. E ora ti insegno a pregare…».

«Oh! sì, fratello. Parliamo di questo… e il mio omonimo sia ricordato solo come uno che ha bisogno di questo. Mi pare che ha già il suo castigo. Non è con noi in quest’ora! » dice Giu­da Taddeo.

«Udite. Quando pregate dite così:

“Padre nostro che sei nei Cieli, sia santificato il Nome tuo, venga il Regno tuo in terra come lo è in Cielo, e in terra come in Cielo sia fatta la Volontà tua. Dàcci oggi il nostro pane quotidiano, rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal Maligno”

Gesù si è alzato per dire la preghiera e tutti lo hanno imi­tato, attenti, commossi.

«Non occorre altro, amici miei. In queste parole è chiuso come in un cerchio d’oro tutto quanto abbisogna all’uomo per lo spirito e per la carne e il sangue. Con questo chiedete ciò che è utile a quello e a questi. E se farete ciò che chiedete, ac­quisterete la vita eterna. È una preghiera tanto perfetta che i marosi delle eresie e il corso dei secoli non l’intaccheranno.

Il cristianesimo sarà spezzettato dal morso di Satana e molte parti della mia carne mistica verranno staccate, separate, fa­centi cellule a sé, nel vano desiderio di crearsi a corpo perfet­to come sarà il Corpo mistico del Cristo, ossia quello dato da tutti i fedeli uniti nella Chiesa apostolica che sarà, finché sa­rà la terra, l’unica vera Chiesa. Ma queste particelle separate, prive perciò dei doni che Io lascerò alla Chiesa Madre per nutrire i miei figli, si chiameranno però sempre cristiane, aven­do culto al Cristo, e sempre si ricorderanno, nel loro errore, di essere venute dal Cristo. Ebbene, esse pure pregheranno con questa universale preghiera.

Ricordatevela bene. Meditatela continuamente. Applicatela alle vostre azioni. Non occorre al­tro per santificarsi. Se uno fosse solo, in un posto di pagani, senza chiese, senza libri, avrebbe già tutto lo scibile da medi­tare in questa preghiera e una chiesa aperta nel suo cuore per questa preghiera. Avrebbe una regola e una santificazione sicura.

“Padre nostro”. Io lo chiamo: “Padre”. Padre è del Verbo, Padre è dell’In­carnato. Così voglio lo chiamiate voi, perché voi siete uni con Me se voi in Me permanete. Un tempo era che l’uomo doveva gettarsi volto a terra per sospirare, fra i tremori dello spavento: “Dio!”.

Chi non crede in Me e nella mia parola ancora è in questo tremore paralizzante…

Osservate nel Tempio. Non Dio, ma anche il ricordo di Dio è celato dietro triplice velo agli occhi dei fedeli. Separa­zioni di distanze, separazioni di velami, tutto è stato preso e applicato per dire a chi prega: “Tu sei fango. Egli è Luce. Tu sei abbietto. Egli è Santo. Tu sei schiavo. Egli è Re”.

Ma ora!… Alzatevi! Accostatevi! Io sono il Sacerdote eterno. Io posso prendervi per mano e dire: “Venite”. Io posso afferrare le tende del velario e aprirle, spalancando l’inacces­sibile luogo chiuso fino ad ora. Chiuso? Perché? Chiuso per la Colpa , sì. Ma ancor più serrato dall’avvilito pensiero degli uo­mini. Perché chiuso, se Dio è Amore, se Dio è Padre?

Io posso, Io devo, Io voglio portarvi non nella polvere, ma nell’azzurro; non lontani, ma vicini; non in veste di schiavi, ma di figli sul cuore di Dio.

“Padre! Padre!” dite. E non stancatevi di dire questa pa­rola. Non sapete che ogni volta che la dite il Cielo sfavilla per la gioia di Dio? Non diceste che questa, e con vero amore, fa­reste già orazione gradita al Signore.

“Padre! Padre mio!” dicono i piccoli al padre loro. E la parola che dicono per prima: “Madre, padre”.

Voi siete i pargoli di Dio. Io vi ho gene­rati dal vecchio uomo che eravate e che Io ho distrutto col mio amore per far nascere l’uomo nuovo, il cristiano.

Chiamate dunque con la parola che per prima conoscono i pargoli, il Padre Ss. che è nei Cieli.

“Sia santificato il tuo Nome.

Oh! Nome più di ogni altro santo e soave, Nome che il ter­rore del colpevole vi ha insegnato a velare sotto un altro. No, non più Adonai, non più. È Dio. È  il Dio che in un eccesso di amore ha creato l’Umanità. L’Umanità, d’ora in poi, con le lab­bra mondate dal lavacro che Io preparo, lo chiami col suo No­me, riservandosi di comprendere con pienezza di sapienza il vero significato di questo Incomprensibile quando, fusa con Es­so, l’Umanità, nei suoi figli migliori, sarà assurta al Regno che Io sono venuto a stabilire.

 “Venga il Regno tuo in terra come in Cielo”

Desideratelo con tutte le vostre forze questo avvento. Sa­rebbe la gioia sulla terra se esso venisse. Il Regno di Dio nei cuori, nelle famiglie, fra i cittadini, fra le nazioni. Soffrite, fa­ticate, sacrificatevi per questo Regno. Sia la terra uno spec­chio che riflette nei singoli la vita dei Cieli.Verrà. Un giorno tutto questo verrà.  Secoli e secoli di lacrime e sangue, di erro­ri, di persecuzioni, di caligine rotta da sprazzi di luce irrag­gianti dal Faro mistico della mia Chiesa – che, se barca è, e non verrà sommersa, è anche scogliera incrollabile ad ogni ma­roso, e alta terrà la Luce , la mia Luce, la Luce di Dio – prece­deranno il momento in cui la terra possederà il Regno di Dio. E sarà allora come il fiammeggiare intenso di un astro che, raggiunto il perfetto del suo esistere, si disgrega, fiore smisu­rato dei giardini eterei, per esalare in un rutilante palpito la sua esistenza e il suo amore ai piedi del suo Creatore. Ma ve­nire verrà. E poi sarà il Regno perfetto, beato, eterno del Cielo. 

“E in terra come in Cielo sia fatta la tua Volontà”.

L’annullamento della volontà propria in quella di un altro si può fare solamente quando si è raggiunto il perfetto amore verso quella creatura.

L’annullamento della volontà propria in quella di Dio si può fare solo quando si è raggiunto il pos­sesso delle teologali virtù in forma eroica.

In Cielo, dove tutto è senza difetti, si fa la volontà di Dio. Sappiate, voi, figli del Cielo, fare ciò che in Cielo si fa.

 “Dacci il nostro pane quotidiano”

Quando sarete nel Cielo vi nutrirete soltanto di Dio. La bea­titudine sarà il vostro cibo. Ma qui ancora abbisognate di pa­ne. E siete i pargoli di Dio. Giusto dunque dire: “Padre, dac­ci il pane”.

Avete timore di non essere ascoltati? Oh, no! Considerate. Se uno di voi ha un amico e, accorgendosi di essere privo di pane per sfamare un altro amico o un parente, giunto da lui sulla fine della seconda vigilia, va ad esso dicendo:

“Amico, prestami tre pani perché m’è venuto un ospite e non ho che dargli da mangiare”, può mai sentirsi rispondere dal di den­tro della casa: “Non mi dare noia perché ho già chiuso l’uscio e assicurati i battenti e i miei figli dormono già al mio fianco. Non posso alzarmi e darti quanto vuoi”?No. Se egli si è rivol­to ad un vero amico e se insiste, avrà ciò che chiede. L’avreb­be anche se colui a cui si è rivolto fosse un amico poco buono. Lo avrebbe per la sua insistenza, perché il richiesto di tal fa­vore, pur di non essere più importunato, si affretterà a dar­gliene quanti ne vuole.

Ma voi, pregando il Padre, non vi rivolgete ad un amico della terra, ma vi rivolgete all’Amico perfetto che è il Padre del Cielo. Perciò Io vi dico: “Chiedete e vi sarà dato, cercate e trovere­te, picchiate e vi sarà aperto”. Infatti a chi chiede viene dato, chi cerca finisce col trovare, e a chi bussa si apre la porta. Chi fra i figli degli uomini si vede porre in mano un sasso se chiede al proprio padre un pane? E chi si vede dare un ser­pente al posto di un pesce arrostito? Delinquente sarebbe quel padre se così facesse alla propria prole. Già l’ho detto e lo ri­peto per persuadervi a sensi di bontà e di fiducia. Come dun­que uno di sana mente non darebbe uno scorpione al posto di un uovo, con quale maggiore bontà non vi darà Dio ciò che chie­dete! Poiché Egli è buono, mentre voi, più o meno, malvagi siete. Chiedete dunque con amore umile e figliale il vostro pa­ne al Padre.

 “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”.

Vi sono i debiti materiali e quelli spirituali. Vi sono anche i debiti morali. È debito materiale la moneta o la merce che avuta in prestito va restituita. È debito morale la stima car­pita e non resa e l’amore voluto e non dato.

È  debito spiritua­le l’ubbidienza a Dio dal quale molto si esigerebbe salvo dare ben poco, e l’amore verso di Lui. Egli ci ama e va amato, così come va amata una madre, una moglie, un figlio da cui si esi­gono tante cose.

L’egoista vuole avere e non dà. Ma l’egoista è agli antipodi del Cielo. Abbiamo debiti con tutti. Da Dio al parente, da questo all’amico, dall’amico al prossimo, dal pros­simo al servo e allo schiavo, essendo tutti esseri come noi.

Guai a chi non perdona! Non sarà perdonato. Dio non può, per giu­stizia, condonare il debito dell’uomo a Lui Ss. se l’uomo non perdona al suo simile.

 “Non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal Maligno”.

L’uomo che non ha sentito il bisogno di spartire con noi la cena di Pasqua mi ha chiesto, or è men di un anno: “Come? Tu hai chiesto di non essere tentato e di essere aiutato, nella tentazione, contro la stessa?”.

Eravamo noi due soli… e ho riposto. Eravamo poi in quattro, in una solitaria plaga, ed ho risposto ancora. Ma non è ancora servito, perché in uno spiri­to tetragono occorre fare breccia demolendo la mala fortezza della sua caparbietà. E perciò lo dirò ancora una, dieci, cento volte, fino a che tutto sarà compiuto.

Ma voi, non corazzati di infelici dottrine e di ancora più in­felici passioni, vogliate pregare così. Pregate con umiltà per­ché Dio impedisca le tentazioni.

Oh! l’umiltà! Conoscersi per quello che si è! Senza avvilirsi, ma conoscersi. Dire: “Potrei cedere anche se non mi sembra poterlo fare, perché io sono un giudice imperfetto di me stesso. Perciò, Padre mio, dàmmi, pos­sibilmente, libertà dalle tentazioni col tenermi tanto vicino a Te da non permettere al Maligno di nuocermi”.

Perché, ricor­datelo, non è Dio che tenta al male, ma è il Male che tenta. Pregate il Padre perché sorregga la vostra debolezza al punto che essa non possa essere indotta in tentazione dal Maligno.

Ho detto, miei diletti. Questa è la mia seconda Pasqua fra voi. Lo scorso anno spezzammo soltanto il pane e l’agnel­lo. Quest’anno vi dono la preghiera. Altri doni avrò per le al­tre mie Pasque fra voi, acciò, quando Io sarò andato dove il Padre vuole, voi abbiate un ricordo di Me, Agnello, in ogni fe­sta dell’agnello mosaico.

Alzatevi e andiamo. Rientreremo in città all’aurora. Anzi, domani tu, Simone, e tu, fratello mio (indica Giuda), andrete a prendere le donne e il bambino. Tu, Simone di Giona, e voi altri, starete con Me finché costoro tornano. Poi andremo in­sieme a Betania».

E scendono fino al Getsemani nella cui casa entrano per il riposo.