XXIII DOM. DEL T. ORDINARIO (ANNO A)   – (Mt 18,15-20) – La correzione fraterna.

a cura di Giovanna Busolini

(Sottolineature e grassetti sono i miei. Immagini tratte dal WEB.) 

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Prima Lettura

Dal libro del profeta Ezechièle
Ez 33,1-7-9

Mi fu rivolta questa parola del Signore: «O figlio dell’uomo, io ti ho posto come sentinella per la casa d’Israele. Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia. Se io dico al malvagio: Malvagio, tu morirai, e tu non parli perché il malvagio desista dalla sua condotta, egli, il malvagio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte io domanderò conto a te. Ma se tu avverti il malvagio della sua condotta perché si converta ed egli non si converte dalla sua condotta, egli morirà per la sua iniquità, ma tu ti sarai salvato».

Salmo Responsoriale
Dal Sal 94

Ascoltate oggi la voce del Signore.

Venite, cantiamo al Signore,
acclamiamo la roccia della nostra salvezza.
Accostiamoci a lui per rendergli grazie,
a lui acclamiamo con canti di gioia. R.

Entrate: prostràti, adoriamo,
in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti.
È lui il nostro Dio e noi il popolo del suo pascolo,
il gregge che egli conduce. R.

Se ascoltaste oggi la sua voce!
«Non indurite il cuore come a Merìba,
come nel giorno di Massa nel deserto,
dove mi tentarono i vostri padri:
mi misero alla prova pur avendo visto le mie opere». R.

Seconda Lettura

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Rm 13,8-10

Fratelli, non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell’amore vicendevole; perché chi ama l’altro ha adempiuto la Legge. Infatti: «Non commetterai adulterio, non ucciderai, non ruberai, non desidererai», e qualsiasi altro comandamento, si ricapitola in questa parola: «Amerai il tuo prossimo come te stesso». La carità non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge infatti è la carità.

VANGELO 

(Mt 18,15-20)
Se ti ascolterà avrai guadagnato il tuo fratello.

+ Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano.
In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.
In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».

Carissimi,

come al solito vi riporto il Vangelo di domenica prossima e il corrispondente stralcio dagli scritti di Maria Valtorta, anche se in questo caso  gli insegnamenti non si trovano tutti di seguito, come sembrerebbe dal testo di Matteo, che  li lega assieme.

Siccome però il testo diventerebbe molto lungo e poi ci sarebbe dentro la parabola che fa parte del Vangelo della prossima domenica, vi trascriverò qui di seguito solo il capitolo valtortiano relativo alla prima parte del Vangelo e lascerò la seconda parte per la prossima domenica.

Maria Valtorta, L’Evangelo come mi è stato rivelato, 277, ed. CEV.

A Magdala, nei giardini di Maria. L’amore e la correzione tra fratelli.

6 settembre 1945.

Gesù non è più dove era nell’ultima visione. Ma è in un va­sto giardino che si prolunga fino al lago, oltre il quale, anzi in mezzo al quale, vi è la casa, preceduta e costeggiata da questo giardino che sul dietro, però, si prolunga almeno tre volte tan­to quanto è lo spazio ai lati e sul davanti della casa. Vi sono fiori, ma più che altro alberi e boschetti e recessi verdi, quali chiusi intorno a vasche di marmo prezioso, quali come chio­schi intorno a tavole e sedili di pietra. E dovevano esserci sta­tue qua e là, sia lungo i sentieri come al centro delle vasche. Ma ora restano solo i piedestalli delle statue a mettere un ri­cordo di esse presso i lauri e i bossi od a specchiarsi nelle va­sche colme di limpida acqua. La presenza di Gesù coi suoi e quella di gente di Magdala, fra i quali è il piccolo Beniamino che ha osato dire all’Iscariota che egli era cattivo, mi fa pensare che siano i giardini della ca­sa della Maddalena… riveduti e corretti, per il loro nuovo uffi­cio, con levare dagli stessi quelle cose che potevano disgustare e scandalizzare, e ricordare il passato. Il lago è tutto un crespo grigio azzurro, riflettendo il cielo su cui scorazzano nubi cariche delle prime piogge dell’autunno. Eppure è bello anche così, in questa luce ferma e pacata di un giorno che non è sereno e che ancora non è del tutto piovoso. Le sue rive non hanno più molti fiori, ma in compenso sono dipin­te da quel sommo pittore che è l’autunno, e mostrano pennella­te d’ocra o di porpora ed estenuato pallore di foglie morenti per gli alberi e i vigneti, che trascolorano prima di cedere alla terra le loro vesti vive. Vi è tutto un punto, nel giardino di una villa che è sul lago come questa, che rosseggia, quasi traboccasse nelle acque del sangue, per una siepe di rami flessibili che l’au­tunno ha fatta di un rame acceso da un fuoco, mentre i salici sparsi sulla riva, poco lontano, tremano nelle loro foglie glauco­argentee, sottili, ancor più pallide del solito prima di morire.

Gesù non guarda ciò che io guardo. Guarda dei poveri ma­lati ai quali impartisce guarigione. Guarda dei vecchi mendi­chi ai quali dà denaro. Guarda dei bambini che le madri gli of­frono perché li benedica. E guarda pietosamente un gruppo di sorelle che gli raccontano della condotta dell’unico fratello, causa della morte per crepacuore della madre e della loro rovi­na, e lo pregano, queste povere donne, di consigliarle e di pre­gare per loro.

«In verità che pregherò. Pregherò che Dio vi dia pace e che vostro fratello si converta e si sovvenga di voi, rendendovi ciò che è giusto e soprattutto tornando ad amarvi. Perché, se que­sto farà, tutto il resto farà. Ma voi lo amate, oppure è rancore in voi? Lo perdonate di cuore, oppure nel vostro pianto è sde­gno? Perché anche egli è infelice. Più di voi. E, nonostante le sue ricchezze, è più povero di voi e bisogna averne pietà. Non possiede più l’amore ed è senza l’amore di Dio. Vedete quanto è infelice? Voi, vostra madre per prima, con la morte finirete in giubilo la vita triste che egli vi ha fatto fare. Ma lui no. Anzi, dal falso godere di ora passerebbe ad un tormento eterno e atroce. Venite presso a Me. Parlerò a tutti parlando a voi».

E Gesù si avvia al centro di un prato sparso di cespugli di fiori, al centro del quale un tempo doveva esservi una statua. Ora resta il basamento, circondato da una bassa siepe di mirto e di rosette minute.

Gesù si addossa a quella siepe e fa l’at­to di parlare. Tutti tacciono e si affollano intorno a Lui.

«La pace sia a voi. Udite. É detto: “Ama il tuo prossimo come te stesso”. Ma nel prossimo chi c’è? Tutto il genere umano, preso in generale. Poi, più in ristretto, tutti i connazionali; poi, ancora più in ristretto, tutti i concittadini; poi, sempre più stringendosi, tutti i paren­ti; infine, ultimo cerchio di questa corona d’amore stretta come petali di una rosa intorno al cuore del fiore, l’amore ai fratelli di sangue: il primo dei prossimi. Il centro del cuore del fiore d’amore è Dio, l’amore per Lui è il primo da aversi. Intorno al suo centro ecco l’amore ai genitori, secondo ad aversi perché realmente il padre e la madre sono i piccoli “Dio” della Terra, creandoci e cooperando con Dio per crearci, oltreché curandoci con amore instancabile. Intorno a questo ovario, che fiam­meggia di pistilli e esala i profumi degli amori più eletti, ecco che si stringono i giri dei diversi amori. Il primo è quello ai fratelli nati dallo stesso seno e dallo stesso sangue dal quale noi nascemmo. Ma come va amato il fratello? Solamente perché la sua car­ne e il suo sangue sono uguali alla nostra? Ciò sanno fare an­che gli uccellini raccolti in un nido. Essi, infatti, non hanno che questo di comune: di essere nati da un’unica covata e di avere in comune sulla lingua il sapore della saliva materna e paterna. Noi uomini siamo da più di uccelli. Abbiamo più di una carne e un sangue. Abbiamo il Padre, oltre un padre e una madre. Abbiamo l’anima e abbiamo Dio, Padre di tutti. E allo­ra ecco che bisogna saper amare il fratello, come fratello per il padre e la madre che ci hanno generato, e come fratello per Dio che è Padre universale. Amarlo perciò spiritualmente oltre che carnalmente. Amar­lo non solo per la carne e il sangue, ma per lo spirito che ab­biamo in comune. Amare, come va dovuto, più lo spirito della carne del fratello nostro. Perché lo spirito è più della carne. Perché il Padre Dio è più del padre uomo. Perché il valore del­lo spirito è più del valore della carne. Perché nostro fratello sa­rebbe molto più infelice se perdesse il Padre Dio che perdendo il padre uomo. L’orfanezza del padre uomo è straziante, ma non è che una mezza orfanezza. Lede solo ciò che è terreno, il nostro bisogno di aiuto e carezze. Ma lo spirito, se sa credere, non è leso dalla morte del padre. Anzi, per seguirlo là dove il giusto si trova, lo spirito del figlio sale come attratto da forza d’amore. E in verità vi dico che ciò è amore, amore di Dio e del padre, asceso col suo spirito a luogo sapiente. Sale a questi luoghi dove più vicino è Dio e agisce con maggior dirittura, perché non manca del vero aiuto, che sono le preghiere del pa­dre che ora sa amare compiutamente, e del freno che è dato dalla certezza che il padre ora vede meglio che in vita le opere del figlio e dal desiderio di potersi riunire a lui mediante una vita santa. Per questo bisogna preoccuparsi più dello spirito che del corpo del proprio fratello. Sarebbe un ben povero amore quello che si rivolgesse solo a ciò che perisce, trascurando quello che non perisce e che, trascurato che sia, può perdere la gioia eter­na. Troppi sono coloro che si affaticano di inutili cose, si affan­nano per ciò che ha un merito relativo, perdendo di vista ciò che è veramente necessario. Le buone sorelle, i buoni fratelli non devono solo preoccuparsi di tenere ordinate le vesti, pronti i cibi, oppure aiutare col lavoro i loro fratelli. Ma devono cur­varsi sui loro spiriti e sentirne le voci, percepirne i difetti, e con amorosa pazienza affaticarsi a dar loro uno spirito sano e santo se in quelle voci e in quei difetti vedono un pericolo per il loro vivere eterno. E devono, se egli verso di loro ha peccato, darsi da fare per perdonare e per farlo perdonare da Dio me­diante il suo ritorno all’amore, senza il quale Dio non perdona. É detto nel Levitico: “Non odiare tuo fratello nel tuo cuore, ma riprendilo pubblicamente, per non caricarti di peccati per causa di lui”. Ma dal non odiare all’amare è ancora un abisso. Può parervi che l’antipatia, il distacco e l’indifferenza non sia­no peccato, perché odio non sono. No. Io vengo a dare luci nuove all’amore, e necessariamente all’odio, perché ciò che fa lucido in ogni particolare il primo sa fare lucido in ogni parti­colare il secondo. La stessa elevazione ad alte sfere del primo porta di conseguenza un maggior distacco dal secondo, perché, più il primo si alza, pare che il secondo sprofondi in un basso sempre più basso. La mia dottrina è perfezione. È finezza di sentimento e di giudizio. È verità senza metafore e perifrasi. Ed Io vi dico che antipatia, distacco e indifferenza sono già odio. Semplicemen­te perché non sono amore. Il contrario dell’amore è l’odio. Po­tete dare altro nome all’antipatia? All’allontanarsi da un esse­re? All’indifferenza? Chi ama ha simpatia verso l’amato. Dun­que, se lo ha antipatico, non lo ama più. Chi ama, anche se la vita lo allontana materialmente dall’amato, continua ad esser­gli vicino con lo spirito. Perciò, se uno da un altro si distacca con lo spirito, non lo ama più. Chi ama non ha mai indifferen­za per l’amato ma, anzi, tutto di lui lo interessa. Perciò, se uno ha indifferenza per uno, è segno che non l’ama più. Voi vedete dunque che queste tre cose sono ramificazioni di un’unica pianta: quella dell’odio. Or che avviene non appena uno che amiamo ci offende? Nel novanta per cento, se non viene odio, viene antipatia, distacco o indifferenza. No. Così non fate. Non gelatevi il cuore con queste tre forme dell’odio. Amate. Ma voi vi chiedete: “Come possiamo?”. Vi rispondo: “Come può Dio, che ama anche chi l’offende. Un amore doloroso, ma sempre buono”. Voi dite: “E come facciamo?”. Io do la nuova legge sui rapporti col fratello colpevole e dico: “Se tuo fratello ti offende, non avvilirlo pub­blicamente col riprenderlo pubblicamente, ma spingi il tuo amore a coprire la colpa del fratello agli occhi del mondo”. Perché ne avrai gran merito agli occhi di Dio, precludendo per amore ogni soddisfazione al tuo orgoglio. Oh! come piace all’uomo far sapere che fù offeso e che ne ebbe dolore! Va come un mendico folle, non a chiedere obolo d’oro dal re, ma va da altri stolti e pezzenti come lui a chiedere manciate di cenere e letame e sorsi di tossico bruciante. Il mondo questo dà all’offeso che va rammaricandosi e mendi­cando conforti. Dio, il Re, dà oro puro a chi, offeso, ma senza rancore, va a piangere solo ai suoi piedi il suo dolore e a chie­dere a Lui, all’Amore e Sapienza, conforto d’amore e insegna­mento per la contingenza penosa. Perciò, se volete conforto, andate da Dio e agite con amore. Io vi dico, correggendo la legge antica: “Se tuo fratello ha peccato contro di te, va’, correggilo fra te e lui solo. Se ti ascol­ta, hai guadagnato di nuovo tuo fratello. E insieme hai guada­gnato tante benedizioni da Dio. E se tuo fratello non ti ascolta, ma ti respinge cocciuto nella colpa, tu, acciò non si dica che sei consenziente ad essa o indifferente al bene dello spirito frater­no, prendi con te due o tre testimoni seri, buoni, fidati, e con essi torna dal fratello e benignamente ripeti alla loro presenza le tue osservazioni, affinché i testimoni possano di loro bocca dire che tu hai fatto tutto quanto potevi per correggere con santità tuo fratello. Perché questo è il dovere di un buon fra­tello, dato che il peccato verso di te, fatto da lui, è lesione alla sua anima, e della sua anima tu ti devi preoccupare. Se anche questo non serve, fallo sapere alla sinagoga, acciò essa lo ri­chiami all’ordine in nome di Dio. Se non si corregge neppure con questo, e respinge la sinagoga o il Tempio come ha respin­to te, tienlo in conto di pubblicano e di gentile”. Questo fate coi fratelli di sangue e con quelli di amore. Perché anche col prossimo vostro più lontano dovete agire con santità, senza avidità, senza inesorabilità, senza odio. E quan­do sono cause per cui è necessario andare dai giudici e tu ci vai col tuo avversario, Io ti dico, o uomo che sovente ti trovi in mali maggiori per tua colpa, di fare di tutto, mentre sei per la strada, per riconciliarti con lui, sia che tu abbia torto come che tu abbia ragione. Perché giustizia umana è sempre imperfetta, e generalmente l’astuto la vince sulla giustizia e potrebbe il colpevole passare per innocente e tu, innocente, passare per colpevole. E allora ti avverrebbe non solo di non avere ricono­sciuto il tuo diritto, ma di perdere anche la causa, e da inno­cente passare al ruolo di colpevole di diffamazione, e perciò il giudice ti passerebbe all’esecutore di giustizia, il quale non ti lascerebbe andare sino a che tu abbia pagato l’ultimo spicciolo. Sii conciliante. Il tuo orgoglio ne soffre? Molto bene. La tua borsa si smunge? Meglio ancora. Basta che cresca la tua san­tità. Non abbiate nostalgia per l’oro. Non siate avidi di lode. Fate che sia Dio colui che vi loda. Fate di farvi una gran borsa in Cielo. E pregate per coloro che vi offendono. Perché si rav­vedano. Se ciò avviene, essi stessi vi renderanno onori e beni. Se non lo fanno, ci penserà Iddio. Andate, ora, ché è l’ora del pasto. Restino solo i mendichi a sedersi alla mensa apostolica. La pace sia con voi».

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