XXIV DOM. DEL T.O. – (Anno A) Mt 18,21-35 – Il servo iniquo.

a cura di Giovanna Busolini

(Sottolineature e grassetti sono i miei. Immagini tratte dal WEB.) 

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Prima Lettura

Dal libro del Siracide
Sir 27,30 – 28,7, NV 27,33 – 28,9

Il rancore e l’ira sono un abominio,
il peccatore li possiede.
Chi si vendica avrà la vendetta dal Signore
ed egli terrà sempre presenti i suoi peccati.
Perdona l’offesa al tuo prossimo
e allora per la tua preghiera
ti saranno rimessi i peccati.
Se qualcuno conserva la collera verso un altro uomo,
come oserà chiedere la guarigione al Signore?
Egli non ha misericordia per l’uomo suo simile,
e osa pregare per i suoi peccati?
Egli, che è soltanto carne, conserva rancore;
chi perdonerà i suoi peccati?
Ricordati della tua fine e smetti di odiare,
ricordati della dissoluzione e della morte
e resta fedele ai comandamenti.
Ricordati dei comandamenti
e non aver rancore verso il prossimo,
ricordati dell’alleanza con l’Altissimo
e non far conto dell’offesa subita.

Salmo Responsoriale
Dal Sal 102

Il Signore è buono e grande nell’amore.

Benedici il Signore, anima mia,
quanto è in me benedica il suo santo nome.
Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tanti suoi benefici. R.

Egli perdona tutte le tue colpe,
guarisce tutte le tue malattie;
salva dalla fossa la tua vita,
ti corona di grazia e di misericordia. R.

Egli sa di che siamo plasmati,
ricorda che noi siamo polvere.
Non ci tratta secondo i nostri peccati,
non ci ripaga secondo le nostre colpe. R.

Come il cielo è alto sulla terra,
così è grande la sua misericordia
su quanti lo temono;
come dista l’oriente dall’occidente,
così allontana da noi le nostre colpe. R.

Seconda lettura

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Rm 14,7-9

Fratelli, nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore; se noi moriamo, moriamo per il Signore.
Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore.
Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi.

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 18,21-35

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto.
Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

Carissimi,

il Vangelo di questa domenica ci riporta la famosa parabola del servo iniquo, come pure una catechesi sul perdono che va sempre dato ai nostri fratelli.

Nel testo valtortiano, che vi riporto, troverete anche una parte del Vangelo della scorsa domenica che Matteo aveva legato assieme e che invece fa parte di un insegnamento successivo.

Maria Valtorta, L’Evangelo come mi è stato rivelato, 278. ed. CEV.

 17 settembre 1945.

Licenziati dopo il pasto i poveri, Gesù resta cogli apostoli e discepoli nel giardino di Maria di Magdala. Vanno a sedersi al limite di esso, proprio vicino alle acque quiete del lago, su cui delle barche veleggiano intente alla pesca.

«Avranno buona pesca», commenta Pietro che osserva.

«Anche tu avrai buona pesca, Simone di Giona».

«Io, Signore? Quando? Intendi che io esca a pescare per il cibo di domani? Vado subito e…».

«Non abbiamo bisogno di cibo in questa casa. La pesca che tu farai sarà in futuro e nel campo spirituale. E con te saranno pescatori ottimi la maggior parte di questi».

«Non tutti, Maestro?», chiede Matteo.

«Non tutti. Ma quelli che perseverando diverranno miei sa­cerdoti avranno buona pesca».

«Conversioni, eh?», domanda Giacomo di Zebedeo.

«Conversioni, perdoni, guide a Dio. Oh! tante cose».

«Senti, Maestro. Tu prima hai detto che, se uno non ascolta il fratello neppure alla presenza di testimoni, sia fatto consi­gliare dalla sinagoga. Ora, se io ho ben capito quanto Tu ci hai detto da quando ci conosciamo, mi pare che la sinagoga sarà sostituita dalla Chiesa, questa cosa che Tu fonderai. Allora, dove andremo per fare consigliare i fratelli zucconi?».

«Andrete da voi stessi, perché voi sarete la mia Chiesa. Per­ciò i fedeli verranno a voi, o per consiglio da avere per causa propria, o per consiglio da dare ad altri. Vi dico di più. Non so­lo potrete consigliare. Ma potrete anche assolvere in mio No­me. Potrete sciogliere dalle catene del peccato e potrete legare due che si amano facendone una carne sola. E quanto avrete fatto sarà valido agli occhi di Dio come fosse Dio stesso che lo avesse fatto. In verità vi dico: quanto avrete legato sulla Terra sarà legato nel Cielo, quanto sarà sciolto da voi sulla Terra sarà sciolto in Cielo. E ancora vi dico, per farvi comprendere la potenza del mio Nome, dell’amore fraterno e della preghiera, che se due miei discepoli, e per tali intendo ora tutti coloro che crederanno nel Cristo, si riuniranno a chiedere qualsiasi giusta cosa in mio Nome, sarà loro concessa dal Padre mio. Perché grande potenza è la preghiera, grande potenza è l’unione fra­terna, grandissima, infinita potenza è il mio Nome e la mia presenza fra voi. E dove due o tre saranno adunati in mio No­me, ivi Io sarò in mezzo a loro, e pregherò con loro, e il Padre non negherà a chi con Me prega. Perché molti non ottengono perché pregano soli, o per motivi illeciti, o con orgoglio, o con peccato sul cuore. Fatevi il cuore mondo, onde Io possa essere con voi, e poi pregate e sarete ascoltati».

Pietro è pensieroso. Gesù lo vede e gliene chiede ragione. E Pietro spiega: «Penso a che gran dovere siamo destinati. E ne ho paura. Paura di non sapere fare bene».

«Infatti Simone di Giona o Giacomo di Alfeo o Filippo e co­sì via non saprebbero fare bene. Ma il sacerdote Pietro, il sa­cerdote Giacomo, il sacerdote Filippo, o Tommaso, sapranno fare bene perché faranno insieme alla divina Sapienza».

«E… quante volte dovremo perdonare ai fratelli? Quante, se peccano contro i sacerdoti; e quante, se peccano contro Dio? Perché, se succederà allora come ora, certo peccheranno contro di noi, visto che peccano contro di Te tante e tante volte. Dim­mi se devo perdonare sempre o se un numero di volte. Sette volte, o più ancora, ad esempio?».

«Non ti dico sette, ma settanta volte sette. Un numero senza misura. Perché anche il Padre dei Cieli perdonerà a voi molte volte, un numero grande di volte, a voi che dovreste essere per­fetti. E come Egli fa con voi, così voi dovete fare, perché voi rappresenterete Dio in Terra. Anzi, sentite. Racconterò una pa­rabola che servirà a tutti».

 E Gesù, che era circondato dai soli apostoli in un chioschet­to di bossi, si avvia verso i discepoli che sono invece rispetto­samente aggruppati su uno spiazzo decorato di una vasca pie­na di limpide acque.

Il sorriso di Gesù è come un segnale di parola. E mentre Lui va col suo passo lento e lungo, per cui percorre molto spazio in pochi momenti, e senza affrettarsi perciò, essi si rallegrano tutti e, come bambini intorno a chi li fa felici, si stringono in cerchio. Una corona di visi attenti, fin­ché Gesù si mette contro un alto albero e inizia a parlare.

«Quanto ho detto prima al popolo va perfezionato per voi che siete gli eletti fra esso. Dall’apostolo Simone di Giona mi è stato detto: “Quante volte devo perdonare? A chi? Perché?”. Ho risposto a lui in pri­vato ed ora a tutti ripeto la mia risposta in ciò che è giusto voi sappiate sin da ora. Udite quante volte e come e perché va per­donato. Perdonare bisogna come perdona Dio, il quale, se mille vol­te uno pecca e se ne pente, perdona mille volte. Purché veda che nel colpevole non c’è la volontà del peccato, la ricerca di ciò che fa peccare, ma sibbene il peccato è solo frutto di una debolezza dell’uomo. Nel caso di persistenza volontaria nel peccato, non può esservi perdono per le colpe fatte alla Legge. Ma per quanto queste colpe vi danno di dolore, a voi, indivi­dualmente, perdonate. Perdonate sempre a chi vi fa del male. Perdonate per essere perdonati, perché anche voi avete colpe verso Dio e i fratelli. Il perdono apre il Regno dei Cieli tanto al perdonato come al perdonante. Esso è simile a questo fatto che avvenne fra un re ed i suoi servi.

Un re volle fare i conti coi suoi servi. Li chiamò dunque uno dopo l’altro cominciando da quelli che erano i più in alto. Ven­ne uno che gli era debitore di diecimila talenti. Ma il suddito non aveva con che pagare l’anticipo che il re gli aveva fatto per potersi costruire case e beni d’ogni genere, perché in verità non aveva, per molti motivi più o meno giusti, con molta solerzia usato della somma ricevuta per questo.

Il re-padrone, sdegnato della sua infingardia e della mancanza di parola, comandò fos­se venduto lui, la moglie, i figli e quanto aveva, finché avesse saldato il suo debito.

Ma il servo si gettò ai piedi del re e con pianti e suppliche lo pregava: “Lasciami andare. Abbi un poco di pazienza ancora ed io ti renderò tutto quanto ti devo, fino all’ultimo denaro”.

Il re, impietosito da tanto dolore – era un re buono – non solo acconsentì a questo ma, saputo che fra le cause della poca solerzia e del mancato pagamento erano an­che delle malattie, giunse a condonargli il debito.

Il suddito se ne andò felice. Uscendo di li, però, trovò sulla sua via un altro suddito, un povero suddito al quale egli aveva prestato cento denari tolti ai diecimila talenti avuti dal re.

Persuaso del favore sovrano, si credette tutto lecito e, preso quell’infelice per la gola, gli disse: “Rendimi subito quanto mi devi”.

Inutilmente l’uomo piangendo si curvò a baciargli i piedi gemendo: “Abbi pietà di me che ho tante disgrazie. Porta un poco di pazienza ancora e ti renderò tutto, fino all’ultimo spic­ciolo”.

Il servo, spietato, chiamò i militi e fece condurre in prigione l’infelice perché si decidesse a pagarlo, pena la perdita della libertà o anche della vita.

La cosa fu risaputa dagli amici del disgraziato i quali, tutti contristati, andarono a riferirlo al re e padrone. Questi, saputa la cosa, ordinò gli fosse tradotto davanti il servitore spietato e, guardandolo severamente, disse: “Servo iniquo, io ti avevo aiutato prima perché tu diventassi misericordioso, perché ti facessi una ricchezza, poi ti ho aiutato ancora col condonarti il debito per il quale tanto ti raccomandavi che io avessi pazien­za. Tu non hai avuto pietà di un tuo simile mentre io, re, per te ne avevo avuta tanta. Perché non hai fatto ciò che io ti ho fat­to?”.

E lo consegnò sdegnato ai carcerieri, perché lo tenessero finché avesse tutto pagato, dicendo: “Come non ebbe pietà di uno che ben poco gli doveva, mentre tanta pietà ebbe da me che re sono, così non trovi da me pietà”.

Così pure farà il Padre mio con voi se voi sarete spietati ai fratelli, se voi, avendo avuto tanto da Dio, sarete colpevoli più di quanto non lo è un fedele. Ricordate che in voi è l’obbligo di essere più di ogni altro senza colpe. Ricordate che Dio vi anti­cipa un gran tesoro, ma vuole che gliene rendiate ragione. Ri­cordate che nessuno come voi deve saper praticare amore e perdono. Non siate servi che per voi molto volete e poi nulla date a chi a voi chiede. Come fate, così vi sarà fatto. E vi sarà chiesto anche conto del come fanno gli altri, trascinati al bene o al male dal vostro esempio. Oh! che in verità se sarete santificatori possederete una gloria grandissima nei Cieli! Ma, ugual­mente, se sarete pervertitori, o anche solamente infingardi nel santificare, sarete duramente puniti. Io ve lo dico ancora una volta. Se alcuno di voi non si sente di essere vittima della propria missione, se ne vada. Ma non manchi ad essa. E dico: non manchi nelle cose veramente rovi­nose alla propria e all’altrui formazione.

E sappia avere amico Dio, avendo sempre in cuore perdono ai deboli. Allora ecco che ad ognun di voi che sappia perdonare sarà da Dio Padre dato perdono.

La sosta è finita. Il tempo dei Tabernacoli è prossimo. Quelli ai quali ho parlato in disparte questa mattina, da doma­ni andranno, precedendomi e annunciandomi alle popolazioni. Quelli che restano non si avviliscano. Ho trattenuto alcuni di loro per prudenziale motivo, non per spregio di loro. Essi sta­ranno con Me, e presto li manderò come mando i settantadue primi. La messe è molta e gli operai saranno sempre pochi ri­spetto al bisogno. Vi sarà dunque lavoro per tutti. E non basta ancora. Perciò, senza gelosie, pregate il Padrone della messe che mandi sempre nuovi operai per la sua mietitura. Andate, intanto. Io e gli apostoli abbiamo in questi giorni di sosta completato la vostra istruzione sul lavoro che avete da fare, ripetendo quello che Io dissi prima di mandare i dodici. Uno fra voi mi ha chiesto: “Ma come guarirò in tuo Nome?”. Curate sempre prima lo spirito. Promettete agli infermi il Re­gno di Dio se sapranno credere in Me e, vista in essi la fede, co­mandate al morbo di andarsene, ed esso se ne andrà. E così fa­te per i malati dello spirito. Accendete per prima cosa la fede. Comunicate con la parola sicura la speranza. Io sopraggiungerò a mettere in essi la divina carità, così come a voi l’ho messa in cuore dopo che in Me avete creduto e nella misericordia avete sperato. E non abbiate paura né degli uomini né del demonio. Non vi faranno male. Le uniche cose di cui dovete temere sono la sensualità, la superbia, l’avarizia. Per esse potrete conse­gnarvi a Satana e agli uomini-satana, ché ci sono essi pure. Andate, dunque, precedendomi per le vie del Giordano. E, giunti a Gerusalemme, andate a raggiungere i pastori nella valle di Betlemme e con essi venite a Me nel posto che sapete, e insieme celebreremo la festa santa, tornando poi più corrobo­rati che mai al nostro ministero. Andate con pace. Io vi benedico nel Nome santo del Signo­re».

Una risposta a “XXIV DOM. DEL T.O. – (Anno A) Mt 18,21-35 – Il servo iniquo.”

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