XXXI Dom. del T.O. (Anno C) – Luca 19,1-10. La conversione di Zaccheo.

 

a cura di Giovanna Busolini

(Sottolineature, grassetti e note sono i miei. Immagini tratte dal Web.)

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Prima Lettura

Hai compassione di tutti, perché ami tutte le cose che esistono.

Dal libro della Sapienza
Sap 11,22 – 12,2

Signore, tutto il mondo, infatti, davanti a te è come polvere sulla bilancia,
come una stilla di rugiada mattutina caduta sulla terra.

Hai compassione di tutti, perché tutto puoi,
chiudi gli occhi sui peccati degli uomini,
aspettando il loro pentimento.

Tu infatti ami tutte le cose che esistono
e non provi disgusto per nessuna delle cose che hai creato;
se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure formata.

Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non l’avessi voluta?
Potrebbe conservarsi ciò che da te non fu chiamato all’esistenza?

Tu sei indulgente con tutte le cose, perché sono tue,
Signore, amante della vita.
Poiché il tuo spirito incorruttibile è in tutte le cose.

Per questo tu correggi a poco a poco quelli che sbagliano
e li ammonisci ricordando loro in che cosa hanno peccato,
perché, messa da parte ogni malizia, credano in te, Signore.

Salmo Responsoriale

Dal Sal 144 (145)

R. Benedirò il tuo nome per sempre, Signore.O Dio, mio re, voglio esaltarti
e benedire il tuo nome in eterno e per sempre.
Ti voglio benedire ogni giorno,
lodare il tuo nome in eterno e per sempre. R.

Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Buono è il Signore verso tutti,
la sua tenerezza si espande su tutte le creature. R.

Ti lodino, Signore, tutte le tue opere
e ti benedicano i tuoi fedeli.
Dicano la gloria del tuo regno
e parlino della tua potenza. R.

Fedele è il Signore in tutte le sue parole
e buono in tutte le sue opere.
Il Signore sostiene quelli che vacillano
e rialza chiunque è caduto. R.
Seconda Lettura

Sia glorificato il nome di Cristo in voi, e voi in lui.
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési
2 Ts 1,11 – 2,2Fratelli,  preghiamo continuamente per voi, perché il nostro Dio vi renda degni della sua chiamata e, con la sua potenza, porti a compimento ogni proposito di bene e l’opera della vostra fede, perché sia glorificato il nome del Signore nostro Gesù in voi, e voi in lui, secondo la grazia del nostro Dio e del Signore Gesù Cristo.Riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e al nostro radunarci con lui, vi preghiamo, fratelli, di non lasciarvi troppo presto confondere la mente e allarmare né da ispirazioni né da discorsi, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia già presente.

Vangelo

Il Figlio dell’uomo era venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 19,1-10

In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zacchèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là.

Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!».

Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto».

Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».

Carissimi,

il Vangelo della prossima domenica ci propone la conversione di Zaccheo, ma non ci dà notizie nè del prima nè del dopo… Nei testi valtortiani veniamo invece a scoprire qualcosa di molto importante che ci dovrebbe far ben riflettere sulle accuse che riceveva Gesù a riguardo del suo “alloggiare” da un peccatore. Conosceremo anche una dolcissima storia a riguardo di un lebbroso guarito dal Signore, che sarà anche la causa scatenante della conversione di Zaccheo. Per rendere poi il tutto ancora più bello, vi ho voluto aggiungere il resoconto di una ulteriore visita che Gesù fa a Zaccheo

ANCHE DA QUESTA VISIONE AVREMO MOLTO DA IMPARARE!

Maria Valtorta, L’Evangelo come mi è stato rivelato, 417 1-10 (Poema VI, 106) ed. CEV. 

1Vedo una vasta piazza, pare un mercato, ombrosa di palme e di altre piante più basse e fronzute. Le palme crescono qua e là senza disciplina e ondeggiano il ciuffo delle foglie che crepitano ad un vento caldo e alto, che solleva un polverume rossastro come venisse da un deserto, o per lo meno da luoghi incolti, di terra rossastra. Gli altri alberi, invece, fanno come un porticato lungo i lati della piazza, un porticato d’ombra, e sotto si sono rifugiati venditori e compratori in una gazzarra irrequieta e urlante.

In un angolo della piazza, proprio là dove la via principale sfocia, vi è un primordiale ufficio di gabella. Vi sono bilance e misure, un banco a cui è seduto un ometto che sorveglia, osserva e riscuote, e col quale tutti parlano come fosse conosciutissimo. So essere Zaccheo il gabelliere, perché molti lo chiamano, chi per interrogarlo sugli avvenimenti della città, e sono i forestieri, e chi per versargli le loro tasse. Molti si stupiscono della sua preoccupazione. Infatti pare distratto e assorto in un pensiero. Risponde a monosillabi e delle volte a cenni. Cosa che stupisce molti, perché si capisce che solitamente Zaccheo è loquace. Qualcuno gli chiede se si sente male, oppure se ha parenti malati. Ma egli nega.

Solo due volte si interessa vivamente. La prima, quando interroga due che vengono da Gerusalemme e che parlano del Nazareno, raccontando miracoli e predicazione. Allora Zaccheo fa molte domande: «È proprio buono come lo dicono? E le sue parole corrispondono ai fatti? La misericordia che Egli predica la usa poi realmente? Per tutti? Anche per i pubblicani? È vero che non respinge nessuno?».

            E ascolta e pensa e sospira. Un’altra volta è quando uno gli accenna ad un uomo barbuto che passa sul suo asinello carico di masserizie. «Vedi, Zaccheo? Quello è Zaccaria il lebbroso. Da dieci anni viveva in un sepolcro. Ora, guarito, ricompra gli arredi per la sua casa vuotata dalla Legge quando lui e i suoi furono dichiarati lebbrosi».

«Chiamatelo».

2Zaccaria viene.

«Tu eri lebbroso?».

«Lo ero, e con me mia moglie e i miei due bambini. La malattia prese la donna per prima e non ce ne accorgemmo subito. I bambini la presero dormendo sulla madre e io nell’accostarmi alla mia donna. Tutti lebbrosi eravamo! Quando se ne accorsero ci mandarono via dal paese… Avrebbero potuto lasciarci nella nostra casa. Era l’ultima… in fondo alla via. Non avremmo dato noia… Avevo già fatto crescere la siepe alta alta, perché neppure fossimo visti. Era già un sepolcro… ma era la nostra casa… Ci hanno mandati via. Via! Via! Nessun paese ci voleva. È giusto! Neanche il nostro ci aveva voluti. Ci mettemmo presso Gerusalemme, in un sepolcro vuoto. Là stanno molti infelici. Ma i bambini, nel freddo della caverna, sono morti. Malattia, freddo e fame li hanno presto uccisi… Erano due maschi… erano belli prima del male. Robusti e belli. Bruni come due more d’agosto, ricciuti, svegli. Erano diventati due scheletri coperti di piaghe… Non più capelli, gli occhi chiusi dalle croste, i piedini e le mani che cadevano in scaglie bianche. Si sono sfarinati sotto i miei occhi, i miei bambini!… Non avevano più figura umana quella mattina che sono morti, a poche ore di distanza… Li ho seppelliti fra gli urli della madre sotto poca terra e molti sassi, come due carogne di animali… Dopo qualche mese è morta la madre… e sono rimasto solo… Aspettavo di morire e non avrei avuto neppure la fossa scavata con le mani degli altri…

3Ero quasi cieco ormai, quando un giorno è passato il Nazareno. Dal mio sepolcro ho gridato: “Gesù! Figlio di Davide, abbi pietà di me!”. Mi aveva raccontato un mendico, che non aveva avuto paura di portarmi il suo pane, che egli era stato guarito dalla sua cecità invocando il Nazareno con quel grido. E diceva: “Non mi ha dato solo la vista degli occhi, ma quella dell’anima. Ho visto che Egli è il Figlio di Dio e vedo tutti attraverso Lui. È per quello che non ti sfuggo, fratello, ma ti porto pane e fede. Vai dal Cristo. Che ci sia uno di più che lo benedica”. Andare non potevo. I piedi, piagati sino all’osso, non mi facevano camminare… e poi… sarei stato preso a sassate, se fossi stato visto. Sono stato attento al suo passaggio. Egli passava spesso per venire a Gerusalemme. Un giorno ho visto, come potevo vedere, un polverume sulla via, e folla, e ho sentito grida. Mi sono trascinato sul ciglio del colle dove erano le grotte sepolcrali e, quando m’è parso di vedere una testa bionda splendere nuda fra le altre ammantate, ho gridato. Forte. Con quanta voce avevo. Tre volte ho gridato. Finché il mio grido gli è giunto.

Si è voltato. Si è fermato. Poi è venuto avanti: solo. Si è fatto proprio sotto al posto dove ero e mi ha guardato. Bello, buono, con due occhi, una voce, un sorriso!… Ha detto: “Che vuoi che ti faccia?”.

“Voglio esser mondato”.

“Credi tu che Io lo possa? Perché?” mi ha chiesto.

“Perché sei il Figlio di Dio”.

“Credi tu questo?”.

“Lo credo” ho risposto. “Vedo l’Altissimo balenare con la sua gloria sul tuo capo. Figlio di Dio, pietà di me!”.

Ed Egli allora ha steso una mano con un viso che era tutto un fuoco. Gli occhi parevano due soli azzurri, e ha detto: “Lo voglio. Sii mondato”, e mi ha benedetto con un sorriso!… Ah! che sorriso! Ho sentito una forza entrare in me. Come una spada di fuoco che correva a cercarmi il cuore, che correva per le vene. Il cuore, che era tanto malato, m’è tornato come a venti anni, il sangue ghiaccio nelle vene è tornato caldo e veloce. Non più dolore, non più debolezza, e una gioia, una gioia!… Egli mi guardava, col suo sorriso mi faceva beato. Poi ha detto: “Va’, mostrati ai sacerdoti. La tua fede ti ha salvato”. Allora ho capito che ero guarito e ho guardato le mie mani, le mie gambe. Le piaghe non c’erano più. Dove prima era scoperto l’osso, ora era già carne rosea e fresca. Sono corso a un rio e mi sono guardato. Anche il viso era mondo. Ero mondo! Mondo ero dopo dieci anni di schifezza!… Ah! perché non era passato avanti? Negli anni in cui era viva la mia donna e i miei bambini? Egli ci avrebbe guariti. Ora, vedi? Compro per la mia casa… Ma sono solo!…»

«Non lo hai più visto?».

«No. Ma so che è da queste parti e sono venuto qui apposta. Vorrei benedirlo ancora ed esser benedetto per avere forza nella mia solitudine».

Zaccheo curva il capo e tace. Il gruppo si scioglie. 4Passa del tempo. L’ora si fa calda. Il mercato si sfolla. Il gabelliere, col capo appoggiato ad una mano, pensa seduto al suo banco.

«Ecco, ecco il Nazareno!» gridano dei fanciulli, accennando la via maestra. Donne, uomini, malati, mendichi si affrettano a corrergli incontro. La piazza resta vuota. Solo dei ciuchi e dei cammelli, legati alle palme, restano al loro posto, e resta Zaccheo al suo banco.

Ma poi si alza in piedi e monta sul banco. Non vede ancora nulla, perché molti hanno staccato frasche e le ondeggiano come per giubilo e Gesù appare chino su dei malati. Allora Zaccheo si leva l’abito e, rimanendo con la sola tunica corta, si arrampica su uno degli alberi. Va su a fatica contro il tronco grosso e liscio, che le sue corte gambe e le sue corte braccia afferrano male. Ma ci riesce e si mette a cavalcioni di due rami come su un ballatoio. Le gambe pendono oltre questa ringhiera, ed egli dalla cintura in su si spenzola come uno ad una finestra, e guarda. La turba arriva sulla piazza. Gesù alza gli occhi e sorride al solitario spettatore appollaiato fra i rami. «Zaccheo, scendi subito. Oggi mi fermo in casa tua» ordina.

E Zaccheo, dopo un momento di stupore, col viso paonazzo per l’emozione, si lascia scivolare come un sacco a terra. È agitato e stenta a rimettersi la veste. Chiude i suoi registri e la sua cassa con mosse che, per volere esser troppo svelte, sono ancor più lente. Ma Gesù è paziente. Accarezza dei bambini mentre aspetta.

5Infine Zaccheo è pronto. Si accosta al Maestro e lo guida ad una bella casa con un ampio giardino tutto intorno, che è al centro del paese. Un bel paese. Anzi una città di poco inferiore a Gerusalemme per la edilizia, e non per la vastità.

Gesù entra e, mentre attende che il pasto sia preparato, si occupa di malati e di sani. Con una pazienza… che solo può essere sua. Zaccheo va e viene dandosi un gran daffare. Non sta in sé dalla gioia. Vorrebbe parlare con Gesù. Ma Gesù è sempre circondato da una turba di popolo.

Infine Gesù congeda tutti dicendo: «Al calar del sole tornate. Ora andate alle vostre case. La pace a voi».

Il giardino si sfolla e viene servito il pasto in una bella e fresca sala che dà sul giardino. Zaccheo ha fatto le cose con ricchezza. Non vedo altri famigliari, per cui penso che Zaccheo fosse celibe e solo, con molti servi.

6Alla fine del pasto, quando i discepoli si spargono all’ombra dei cespugli per riposare, Zaccheo resta con Gesù nella fresca sala. Anzi per un poco resta solo Gesù, perché Zaccheo si ritira come per lasciar riposare Gesù. Ma poi torna e guarda da una fessura di tenda. Vede che Gesù non dorme, ma pensa. Allora si avvicina. Ha fra le braccia un cofano pesante. Lo pone sulla tavola presso a Gesù e dice: «Maestro… mi è stato parlato di Te. Da tempo. Un giorno Tu hai detto su un monte tante verità che i nostri dottori non sanno più dire. Mi sono rimaste in cuore… e da allora penso a Te… Poi mi è stato detto che sei buono e non respingi i peccatori. Io sono peccatore, Maestro. Mi è stato detto che Tu guarisci i malati. Io sono malato nel cuore perché ho frodato, perché ho fatto usura, perché sono stato vizioso, ladro, duro verso i poveri. Ma ora, ecco, io sono guarito perché Tu mi hai parlato. Ti sei avvicinato a me e il demonio del senso e della ricchezza è fuggito. Ed io da oggi sono tuo, se Tu non mi rifiuti, e per mostrarti che io nasco di nuovo in Te, ecco che mi spoglio delle ricchezze male acquistate e ti do metà del mio avere per i poveri e l’altra metà la userò a restituire, quadruplicato, quanto ho preso con frode. So chi ho frodato. E poi, dopo aver reso ad ognuno il suo, ti seguirò, Maestro, se Tu lo permetti…». .

«Io lo voglio. Vieni. Sono venuto per salvare e chiamare alla Luce. Oggi Luce e Salvezza è venuta alla casa del tuo cuore. Coloro che là, oltre il cancello, mormorano poiché Io ti ho redento sedendomi al tuo convito, dimenticano che tu sei figlio di Abramo come essi e che Io sono venuto per salvare chi era perduto e dare Vita ai morti dello spirito. Vieni, Zaccheo. Hai compreso la mia parola meglio di tanti che mi seguono solo per potermi accusare. Perciò d’ora in avanti sarai meco».

La visione cessa qui.

18 luglio 1944.

7Dice Gesù:

«Vi è lievito e lievito. Vi è il lievito del Bene e quello del Male. Il lievito del Male, veleno satanico, fermenta con maggior facilità di quello del Bene, perché trova la materia più adatta alla sua lievitazione nel cuore dell’uomo, nel pensiero dell’uomo, nella carne dell’uomo, sedotti tutti e tre da una volontà egoista, contraria perciò alla Volontà universale che è quella di Dio.

La volontà di Dio è universale perché non si limita mai ad un pensiero personale, ma ha presente il bene di tutto l’universo. A Dio nulla può aumentare perfezione di sorta, avendo sempre posseduto ogni cosa in maniera perfetta. Perciò non vi può essere in Lui pensiero di utile proprio a movente di nessuna sua azione.

Quando si dice: “Si compie questo a maggior gloria di Dio, nell’interesse di Dio”, non è già perché la gloria divina sia suscettibile in Se stessa di aumento, ma perché ogni cosa che nel creato porti un’impronta di bene e ogni persona che compia il bene, e perciò meriti di possederlo, si orna del segno della Gloria divina, dando così gloria alla Gloria stessa che ha gloriosamente creato le cose tutte. È una testimonianza, insomma, che persone e cose dànno a Dio, testimoniando con le loro opere della Origine perfetta da cui vengono.

Perciò Dio, quando vi comanda o vi consiglia o vi ispira una azione, non lo fa già per interesse egoista, ma per un pensiero altruista, caritativo, di benessere vostro. Ecco, perciò, perché la volontà di Dio non è mai egoista, ma è anzi una volontà tutta tesa all’altruismo, all’universalità. L’unica e vera forza nel mondo universo che abbia pensiero di bene universale.

Il lievito del Bene, germe spirituale che viene da Dio, cresce invece con molta avversità e fatica, con molto stento, avendo contro sé i reagenti che sono propizi all’altro: la carne, il cuore e il pensiero dell’uomo, pervasi da un egoismo che è l’antitesi del Bene che, per la sua origine, non può essere che Amore. Manca nella maggioranza degli uomini la volontà di bene, e perciò il Bene sterilisce e muore, o vive così stentato che non lievita: rimane lì. Non vi è colpa grave. Ma non vi è neppure sforzo a fare il massimo bene. Perciò lo spirito giace inerte. Non morto, ma infruttifero.

Badate che non fare il male non basta che a evitare l’inferno. Per godere subito del bel Paradiso occorre fare il bene. Assolutamente. Per quanto lo si riesce a fare. Lottando contro se stessi e contro gli altri. Perché Io ho detto che Io ero venuto a mettere guerra e non pace anche fra padre e figli, fra fratelli e sorelle, quando questa guerra venisse dal fatto di difendere la Volontà di Dio e la sua Legge contro le sopraffazioni delle volontà umane, volte in direzioni contrarie di quello che vuole Iddio.

8In Zaccheo il piccolo pugno di lievito di bene era fermentato in grande massa. Nel suo cuore non ne era caduta che una briciola originaria: gli avevano riferito il mio discorso della Montagna. Malamente anche, certo mutilato di tante sue parti, così come avviene dei discorsi riportati.

Pubblicano e peccatore Zaccheo. Ma non per mala volontà. Era come uno che con un velo di cataratta sulle pupille vedesse male le cose. Ma sa che l’occhio, liberato di quel velo, ritorna in grado di vedere bene. E quel malato desidera gli sia levato quel velo. Così Zaccheo. Non era persuaso né felice. Non persuaso delle pratiche farisaiche, che ormai avevano sostituito la vera Legge. E non felice della sua maniera di vivere.

Cercava istintivamente la luce. La vera Luce. Ne vide uno Sprazzo in quel frammento di discorso e se lo chiuse in cuore Come un tesoro. Poiché lo amava – nota, Maria, questo – poiché lo amava, lo sprazzo divenne sempre più vivo, vasto e impetuoso, e lo portò a vedere nettamente il Bene e il Male e a scegliere giustamente, recidendo con generosità tutti i tentacoli che prima, dalle cose al cuore e dal cuore alle cose, lo avevano avvolto in una rete di schiavitù maligna.

“Poiché lo amava”. Ecco il segreto del riuscire o meno. Si riesce quando si ama. Non si riesce che poco quando si ama stentatamente. Non si riesce affatto quando non si ama. In qualunque cosa. Con più ragione nelle cose di Dio dove, per essere Dio invisibile ai sensi corporali, occorre avere un amore, oso dire, perfetto, per quanto possa creatura toccare perfezione, per riuscire in un’impresa. Nella santità, in questo caso.

Zaccheo, disgustato del mondo e della carne, come disgustato dalle meschinità delle pratiche farisaiche, così cavillose, intransigenti per gli altri, troppo condiscendenti per loro, amò quel piccolo tesoro di una mia parola, giunto a lui per puro caso, umanamente parlando, l’amò come la cosa più bella che la sua vita quarantenne avesse posseduto, e da quel momento polarizzò il suo cuore e il suo pensiero su questo punto.

Non soltanto nel male, dove è il tesoro è il cuore dell’uomo. Anche nel bene. I santi non hanno avuto forse nella vita il loro cuore là dove era il loro tesoro: Dio? Sì. E per questo, guardando soltanto Iddio, seppero passare sulla terra senza corrompere nel fango della terra la loro anima.

9Quella mattina, se lo non fossi comparso, avrei ugualmente fatto un proselite. Poiché il discorso del lebbroso aveva ultimato la metamorfosi di Zaccheo. Al banco della gabella non era già più il pubblicano frodatore e vizioso. Ma l’uomo pentito del suo passato e deciso a mutare vita. Se Io non fossi apparso a Gerico, egli avrebbe chiuso il suo banco, preso il suo denaro, e sarebbe venuto in cerca di Me, perché non poteva più stare senza l’acqua della Verità, senza il pane dell’Amore, senza il bacio del Perdono.

Questo, i soliti censori che mi osservavano per rimproverarmi sempre, non lo vedevano e tanto meno lo capivano. E perciò si stupivano che Io mangiassi con un peccatore. Oh! se non giudicaste mai, lasciandone a Dio il compito, poveri ciechi incapaci di giudicare anche voi stessi! Non sono mai andato coi peccatori per approvare il loro peccato. Andavo per trarli dal peccato, sovente perché essi non avevano ormai più unicamente che l’esterno del peccato: l’anima contrita era già mutata in una nuova anima vivente per espiare. E allora ero Io con un peccatore? No. Con un redento che aveva unicamente bisogno di una guida per reggersi nella sua debolezza di risorto da morte.

10Quanto vi può insegnare l’episodio di Zaccheo! Il potere della retta intenzione che suscita il desiderio. Il desiderio retto che spinge a cercare una sempre maggior cognizione del Bene e a cercare Dio continuamente sino ad averlo raggiunto, un retto pentimento che dà il coraggio della rinuncia. Zaccheo aveva la retta intenzione di udire parole di vera Dottrina. Avutane qualcuna, il suo retto desiderio lo spinge a maggior desiderio e perciò a continua ricerca di questa Dottrina; la ricerca di Dio, celato nella vera Dottrina, lo stacca dai meschini dèi del denaro e del senso e lo fa eroe di rinuncia.

“Se vuoi essere perfetto va’, vendi quanto hai e vieni dietro a Me” ho detto al giovane ricco, ed egli non l’ha saputo fare. Ma Zaccheo, sebbene più indurito nell’avarizia e nella sensualità, sa farlo. Poiché attraverso alla poca Parola che gli era stata riportata aveva, come il mendico cieco e il lebbroso risanato da Me, visto Dio.

Può mai uno spirito che ha visto Dio trovare più attrazione alcuna nelle piccole cose della terra? Lo può mai, mia piccola sposa?».

Maria Valtorta, L’Evangelo come mi è stato rivelato, 522 (Poema VII, 219) ed. CEV. 

G) Zaccheo si è già convertito ed ha cambiato vita, ma non ha più visto Gesù. 

A Gerico.

Gesù vi è molto atteso. Gente e gente sosta nelle campagne prossime alla città in attesa, e non appena una vedetta, arrampicata su un alto noce, getta il grido: «Eccolo l’Agnello di Dio!», la gente si alza in piedi e accorre verso Gesù che viene avanti nelle prime nebbie crepuscolari.

«Maestro! Maestro! Noi ti attendiamo da tanto ! I nostri malati! I nostri bambini! La tua benedizione! I vecchi ti attendono per spegnersi in pace. Se Tu benedici, Signore, noi saremo preservati dalla sventura! » parlano tutti insieme mentre Gesù alza la mano in ripetuti gesti di benedizione, e ripete: «Pace, pace, pace a voi tutti! »

Gli apostoli che sono ancora con Lui sono presi e travolti fra la folla, separati da Gesù che è quasi impedito di camminare da quelli stessi che si lamentano dolcemente di tanta attesa.

Il povero Zaccheo lotta convulsamente per giungere a Gesù, per farsi sentire da Lui, per farsi almeno vedere. Ma così basso come è, e non molto agile né forte, viene sempre respinto da nuove ondate di folla e il suo grido si perde nel clamore, e nella confusione di teste, di braccia, di vesti che si agitano, si perde la sua persona. Inutilmente supplica e qualche volta rimprovera per ottenere un poco di pietà. La gente è sempre egoista per quello che le dà godimento, ed è crudele coi più deboli. Il povero Zaccheo, sfinito per gli sforzi fatti, convinto dell’inutilità di essi, perde la volontà di lottare e si rassegna mortificato. Infatti, come poter riuscire più se da ogni via sbuca altra gente e le vie sembrano tanti rivoli che sfocino tutti ad un unico fiume: la strada percorsa da Gesù? E ogni nuovo affluente, con una nuova ondata che fa sempre più fitta la folla sino a rendere pauroso il trovarcisi, respinge indietro il povero Zaccheo.

Il Taddeo lo vede e cerca di farsi largo per strapparlo dall’angolo di via in cui lo ha respinto e inchiodato la folla. Ma a sua volta Giuda d’Alfeo viene sospinto da chi lo preme alle spalle, e il tentativo fallisce. Tommaso, facendo arma della sua robusta persona, lavora di gomiti e urla col suo vocione potente: «Fate largo! » nello stesso tentativo…Macché! La gente è una muraglia salda più di roccia, e nello stesso tempo pieghevole come il caucciù. Si piega ma non si spezza. Il suo non è più un abbraccio: è una catena infrangibile. Anche Tommaso si rassegna.

E Zaccheo perde ogni speranza, perché Didimo è l’ultimo degli apostoli presi dalla fiumana. E questa passa finalmente…E’ passata…Lembi di stoffe, fiocchi, frange, forcine da donna, fermagli di vesti, restano al suolo a testimoniare della sua violenza. C’è persino un piccolo sandalo di bambino, tutto calpestato, e pare aspetti tristemente il piccolo piede che lo ha perduto…Zaccheo si mette in coda a tutti, triste lui pure come quel piccolo calzare strappato dalla folla al suo piccolo proprietario.

Gesù non si vede neanche più. Una svolta di via lo ha nascosto agli occhi del povero Zaccheo… Ma quando, ultimo della folla, egli giunge sulla piazza dove un tempo aveva il suo banco, vede che la gente si è fermata vociando, pregando, supplicando. E vede che Gesù, montato sulla piccola gradinata di una casa, fa con le braccia e col capo cenno di no. E dice qualcosa che non si può comprendere nel muggito della folla. E infine vede Gesù, scendendo a fatica dal suo piedestallo, riprende ad andare e svolta, sì, svolta proprio per la parte dove è la sua casa. Allora Zaccheo riprende ogni ardire. La gente è molta, ma la piazza è larga, e perciò la gente è meno compatta e può essere…forata come una siepe non molto folta da uno che abbia volontà di farlo e non abbia paura di rimanere ferito. E Zaccheo, divenuto un cuneo, una catapulta, un ariete, dà di cozzo, urta, si insinua, distribuisce e riceve pugni in viso e gomitate nello stomaco e calci negli stinchi, ma si fa largo, avanza…Eccolo al lato opposto… Ma qui il largo cessa, ed ecco di nuovo la muraglia impenetrabile. Pochi passi lo separano da Gesù già fermo presso la sua casa. Ma se lo separassero deserti e fiumi potrebbero sperare di più di riuscire a raggiungerlo. Si inquieta, sbraita, impone: «Devo andare a casa mia! Lasciatemi passare! Non vedete che Egli vuol venire da me? »

Mai l’avesse detto! Ciò rinfocola la folla nella sua volontà di avere in altre case il Maestro. Chi ride burlandosi del povero Zaccheo, chi gli risponde malamente. Non c’è uno che abbia pietà. Anzi si danno a urlare e ad agitarsi perché il Maestro non veda e non senta Zaccheo. E alcuni gridano: «Hai avuto già fin troppo da Lui, vecchio peccatore! » Credo che a tanto malanimo non sia esente il ricordo delle antiche esazioni e vessazioni…L’uomo anche maggiormente disposto al soprannaturale serba quasi sempre un ancor più vivo ricordo di chi ha leso questo peculio.

Ma l’ora della prova per Zaccheo è passata, e Gesù lo premia della sua costanza. Grida Gesù con tutta la forza della sua voce: «Zaccheo! Vieni a Me. Lasciatelo passare ché voglio entrare nella sua casa. »

E’ giocoforza ubbidire. La folla si pigia per aprirsi e Zaccheo si fa avanti, rosso di fatica, rosso di gioia, e cerca ravviarsi i capelli spettinati, la veste sbottonata, la cintura andata coi fiocchi sulle reni anziché sul davanti. Cerca il mantello…Il mantello chissà dove è!…Non importa. Egli è davanti a Gesù ormai, semicurvo per ossequiarlo. Non può far di più perché ha appena spazio per curvarsi un poco.

«Pace a te, Zaccheo. Vieni, dunque ché ti dia il bacio di pace. Lo hai ben meritato» dice Gesù sorridendo di un sorriso veramente allegro, giovanile, che lo fa infatti apparire ringiovanito.

«Oh! Sì, Signore. L’ho ben meritato. Come è difficile raggiungerti, Signore» dice Zaccheo alzandosi più che può per mettersi a livello di Gesù che si curva per baciarlo, e nel fare così mette in luce un viso che sanguina per uno sgraffio sulla guancia desta, e che ha livido un occhio per qualche gomitata presa nell’orbita.

Gesù lo bacia e poi dice: «Ma Io non ti premio per questa fatica. Ma per le altre, segrete a tanti, ma a Me note. Sì, è vero. Raggiungermi è difficile e non è la folla l’ostacolo unico, non è neppur l’ostacolo più difficile che si trova per raggiungermi.

Ma, o popolo che mi hai quasi portato in trionfo, l’ostacolo più difficile, il più composto, il sempre ricomposto dopo che si è tentato di romperlo o superarlo, è il proprio io. Io pareva che non vedessi, ma tutto ho visto. E tutto ho valutato. E che ho visto? Ho visto un peccatore convertito, uno che era duro di cuore, che era amante dei comodi, che era superbo, vanitoso, lussurioso e avaro. E l’ho visto spogliarsi del suo io antico anche nelle cose minori, e mutarsi nei modi e affetti come in quelli, per accorrere dal suo Salvatore, di lottare per raggiungerlo, e supplicare umilmente, e ricevere frizzi e rimproveri pazientemente, e soffrire nel corpo gli urti della folla e nel cuore per vedersi respinto in coda a tutti, senza poter neppure raccogliere un mio sguardo. E ho visto altre cose in lui. Cose che voi pure conoscete, ma delle quali non volete tenere conto per quanto da esse abbiate avuto sollievo.

Voi direte: “E come le conosci Tu che non abiti fra noi?” Vi rispondo: come leggo nel cuore degli uomini così non ignoro le azioni degli uomini e so essere giusto e premiare in proporzione del cammino fatto per raggiungermi, degli sforzi fatti per sbarbare la foresta selvaggia che copriva lo spirito, bonificarlo, cacciarne la foresta selvaggia che copriva lo spirito, bonificarlo, cacciarne tutto che non fosse l’albero vitale e metterlo re nell’io, circondandolo di piante di virtù perché sia onorato, vegliando acciò nessun animale immondo, perché strisciante, perché ingordo di corruzione, o lascivo, o ozioso –le diverse passioni malvagie- si annidasse nel folto, ma solo lo abitasse, questo spirito vostro, ciò che è buono e capaci di lodare il Signore, ossia gli affetti soprannaturali: altrettanti uccelli canori e miti agnelli disposti ad essere immolati, disposti alla lode perfetta per amore di Dio.

E come non ho ignorato le opere di Zaccheo, i suoi pensieri, le sue fatiche, così non ho ignorato che in molti di questa città, che mi hanno acclamato, è più un amore sensibile che uno spirituale. Se mi amaste in giustizia sareste stati pietosi al vostro concittadino, non lo avreste mortificato ricordandogli il passato. Quel passato che egli ha annullato, e che Dio non ricorda, o perché su perdono concesso non si ritorna sopra altro che se la creatura torna a peccare. E si ritorna a giudicarlo per il peccato nuovo, non già per quello che è stato perdonato. Ora Io vi dico, e ve lo do per vostro compagno nelle meditazioni della notte, che non consiste nell’acclamazioni l’amarmi in verità, ma nel fare ciò che Io faccio e insegno, nel praticare l’amor reciproco, nell’essere umili e misericordiosi, ricordando che un unico fango vi ha composti per la parte materiale, e che il fango ha sempre attrattiva per il pantano, e che perciò se fino ad ora ciò che in voi è forza che vi ha tenuti sollevati sul pantano: lo spirito, non ha mai conosciuto disfatte –ed è cosa impossibile perché l’uomo è peccatore e solo Dio è senza peccato –domani il vostro spirito potrebbe conoscerle, e in numero e portata ancor maggiore di quelle del vecchio peccatore ormai rinato alla Grazia, rifatto da essa giovanile e nuovo come un fanciullo testè nato, con in suo favore l’umiltà che gli viene dal ricordo di essere stato peccatore, e la volontà accesa di fare, nel resto di vita, tanto bene quanto sia sufficiente ad empire una vita longeva e tutta consacrata al bene, tanto da riparare, e con misura piena e traboccante, ogni male che possa aver fatto”.

Una risposta a “XXXI Dom. del T.O. (Anno C) – Luca 19,1-10. La conversione di Zaccheo.”

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